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“Vedere una partita e individuare il più forte è facile, ma…”. Sampdoria, Pecini racconta il mondo degli osservatori

Modric, Icardi, Skriniar, Schick… tanti i talenti scoperti da Riccardo Pecini, talent scout della Sampdoria. Esperienze e abilità di tutto rispetto, Pecini, nel corso della lunga intervista rilasciata a Tuttosport dà diversi consigli a chi vuole intraprendere il mestiere… “Vedere una partita e individuare il più forte è facile, possono farlo tutti. La difficoltà vera è capire: va bene per me? Può fare il lavoro di cui ho bisogno? L’incognita nella selezione del talento è la testa, il resto lo fa l’allenatore. Prendo informazioni sulla famiglia, sul contesto da cui proviene, poi mi fido delle sensazioni. Cerco ragazzi che abbiano voglia, per cui la Samp non sia un ripiego, e con tanta intelligenza cognitiva perché Giampaolo in quello è esigente. Se un 18enne parla quattro lingue, è probabile sia svelto nell’apprendimento. Poi evito chi crea problemi: uno sregolato rovina l’ambiente, un timido non sarà mai un leader ma magari darà sempre il 100%. Ci sono criteri oggettivi per l’alto livello: per esempio, ho visto un solo centrale di 1.75 giocare una finale dei Mondiali (Cannavaro): meglio che in quel ruolo ci siano i centimetri… Poi dipende dal club in cui operi: certi prediligono la struttura fisica perché paga nel breve e altri la tecnica che lo fa a lungo termine. Però per me non si sbaglia un giocatore, semmai si prende un giocatore non adatto in quel momento a quella squadra. Esempio: non credo che l’Inter abbia sbagliato su Kondogbia, credo che Kondogbia sia arrivato nel posto sbagliato nel momento sbagliato. Io un ragazzo prima lo scelgo, poi guardo le statistiche. Gli inglesi hanno dipartimenti che studiano numeri, per me sono solo un supporto. In una punta di 24­25 anni i numeri contano, in una di 19 no. Se avessimo ragionato coi numeri, Schick non l’avremmo preso”.

Giocatori più ricercati: “Attualmente I terzini. Tutti li vogliono perché non ce ne sono. C’è stata una moda post­guardiolista che ha portato gli esterni d’attacco a giocare terzini, perché tutti cercavano spinta e qualità. Ora si torna alla ricerca del terzino puro, che sa difendere, ma quel tipo di giocatore non è stato prodotto. Poi i difensori da linea a tre e le seconde punte: il 4­3­3 è in calo. Miniere d’oro?Sta tornando alla grande la Svezia. Bene anche la Repubblica Ceca. Poi ci sono scuole calcistiche buone che l’Italia a tratti non attrae, come la Francia o l’Est Europa. Sull’Africa ci penalizzano le regole. Il calciatore africano ha tutto, gli manca proprio quello che qui possiamo dare più che altrove: organizzazione e cultura del lavoro. Ma siamo svantaggiati dalle regole, quindi arriviamo sempre dopo. Io però credo in quel mercato: che cosa mi impedisce di pensare che in Gabon ci siano altri 10 Aubameyang, che non hanno avuto la fortuna di arrivare in Europa giovani? In Asia chi ha buone strutture ha sempre prodotto buoni giocatori, pensate alla Corea del Sud. Ma anche lìregole e cultura ci limitano: perché un sudcoreano può far bene all’Amburgo e non in Italia? Poi c’è la grande incognita Cina: se si sviluppa dal basso, è presumibile che alla lunga possa cannibalizzare il continente”

Vita da osservatore: “Facciamo riunioni bimestrali, che producono dei nomi da seguire e relazionare. Abbiamo uno staff di 5 osservatori professionisti più un coordinatore, ognuno nel fine settimana è via. Ci sono due tipi di viaggi. Le grandi manifestazioni sono belle, divertenti, i viaggi di un normale weekend molto più duri. Esempio: 9 partite in 3 giorni. Magari piove, non danno le formazioni e il campo non ha le tribune… Se si parte il venerdì e si rientra il lunedì, martedì è di riposo, per forza. Mercoledì può diventare il giorno delle relazioni: per ognuna serve un’ora. Stipendio? Sui 3.000 euro al mese,rimborsi esclusi. Una relazione è fatta da due righe di nota per la partita, risultato e condizioni del campo. Poi le voglio discorsive, su quattro macro aree: tecnica, fisica, mentale, tattica. Poi un giudizio finale con una votazione, da 6 a 10. Non esiste un corso che lo insegna: osservatore si diventa facendolo. La cosa più facile è affiancare qualcuno all’inizio, poi vedere più partite possibile e soprattutto studiare. Io ho cominciato intorno ai 21 anni dopo aver lasciato l’università. Guardavo partite anche di notte, di ogni livello: serve per fare un archivio mentale, costruire dei parametri. Infine, è importante saper raccogliere informazioni: parlare poco, ascoltare tanto, sviluppare contatti senza esporsi, portare notizie. Come un giornalista, insomma…”. L’intervista integrale nelle pagine di Tuttosport.

Redazione

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