Dopo le vittorie contro Spezia e Hellas Verona, l'Udinese contro la Roma cerca il quinto risultato utile in campionato. "Sto studiando le contromisure per una partita non facile. La Roma ha vinto con tutte le squadre dal decimo posto in giù. Il nostro ranking non ci sottrae, sulla carta, a questa previsione. Non conoscevo Mayoral. Mi ha fatto un’ottima impressione. Ma considero ancora Dzeko uno dei centravanti più forti della serie A. Non ho paura ma grande rispetto. Per una squadra che ha uomini come Mkhitaryan, Pellegrini, Veretout. E un allenatore come Fonseca, che considero tra i migliori". Così Luca Gotti al Corriere dello Sport, alla vigilia della trasferta dell'Olimpico.
L'allenatore bianconero si è poi soffermato sull'esperienza da collaboratore di Sarri al Chelsea: "Maurizio è un ossimoro vivente. Fa convivere un’intelligenza estremamente raffinata con momenti di chiusura totale, in cui reagisce solo di pancia. Dal punto di vista professionale lo definirei un estremista concettuale. Mette continuamente alla prova le tue convinzioni passate e ti sprona ad aggiornarle. Il nostro è stato un rapporto pieno, anche in quel piccolo spazio che Maurizio riserva a ciò che sta fuori dal calcio. Lui ideologicamente a sinistra, io dalla parte opposta. Eppure a volte ci siamo trovati a litigare da posizioni invertite, chiudendo tutto con una crassa risata".
Da collaboratore a primo allenatore. Mai una parola fuori posto, sempre pacato. Una personalità che rispecchia gli insegnamenti del padre: "Il ricordo che ho di mio padre non è quello dell’allenatore. Lui era anzitutto un operaio, così ha lavorato per quarantacinque anni. Persona semplice, terza media ma ottime letture, esperienza acquisita sul campo, una vita nelle case popolari. Lì sono cresciuto. La percezione di essere raggirato dai potenti e perfino dalle istituzioni non giustificava per lui il diritto di violare la morale. Nessun lavoro deve farti vergognare, mi diceva, tutti i lavori sono nobili. Bisogna vergognarsi di rubare e di prendere in giro gli altri. Questo ho imparato da una persona che non ha mai avuto un milione di lire sul conto corrente, ma non per questo ha perso la coerenza".
Infine un pensiero su Guardiola: "In Inghilterra l’ho studiato. La differenza che persegue non è tattica, ma caratteriale. Lui la definisce “animismo”. Vuol dire sfruttare al massimo le potenzialità dei calciatori a prescindere dal risultato. Tante squadre segnano un gol e cambiano del tutto atteggiamento mentale. Oppure dominano, poi subiscono un gol casuale, e si abbattono. Cambia l’inerzia della partita, cioè quel flusso di forze psicologiche collettive che sposta il baricentro del gioco, contro ogni stessa volontà tattica. Questo disequilibrio corrisponde a una virata emotiva che avviene nella testa dei calciatori. Piuttosto che concentrarsi sul 4-3-3, è importante spingere la squadra a giocare come se stesse sullo 0-0 anche se è avanti di due gol".
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