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Ucraina, il racconto della partita più lunga della storia tra sirene, bunker e paura. “Uno scenario surreale, da brividi”

Duecentocinquanta giorni. Questo è il tempo che separa l’ultima partita del campionato ucraino – giocata il 12 dicembre 2021 – e la prima della nuova stagione. In mezzo una guerra terribile, fatta di bombe, sofferenze e atrocità. Oggi il pallone da quelle parti è tornato a rotolare, anche se in una situazione simile non si può parlare di un completo ritorno alla normalità. L’iter da seguire però sarà quello, step by step. 

“Il fatto che si riparta, nonostante la guerra sia ancora in corso, dà un segnale forte della nostra voglia che tutto finisca e che si possa tornare a vivere in un clima di pace”. Questa l’eco di presidenti, allenatori, giocatori e tifosi. Senza bandiere o rivalità. Tutti uniti per l’Ucraina, dando un calcio alla guerra, con la speranza di lanciare un segnale forte. 

 

 

 

Come detto però non si può ancora parlare di un ritorno alla normalità. Neanche nel calcio. Già, perché la guerra continua a spezzare sogni e vite, oltre che a seminare paura per la nazione. Quanto successo a Lviv tre giorni fa non è altro che lo specchio di questo discorso, catapultato nel mondo dello sport. Ma andiamo con ordine. A Lviv si giocava Rukh-Metalist Kharkiv, prima giornata di campionato. La partita è durata quattro ore e trenta – diventando la più lunga della storia – dal momento che le sirene sono suonate più volte e hanno costretto i giocatori a lasciare il campo. Tutti sono corsi via e si sono nascosti per 145 minuti nei bunker costruiti ad hoc vicino agli spogliatoi, a riparo dalle bombe. 

 

È stata una sensazione assurda, ho ancora i brividi – ci racconta in esclusiva Talles Brenner, trequartista brasiliano e stellina del Rukh Lviv – è la prima volta che succede una cosa simile in un campo di calcio. Non sapevamo come comportarci, ogni volta che tornavamo in campo era poi una nuova corsa verso i rifugi”. Il risultato poi in questi casi non importa, passa tutto in secondo piano. “Ripartire vuol dire dare un segnale di normalità, anche il fatto che diversi stranieri come me sono tornati, dà una speranza ai compagni ucraini. Quello di mercoledì scorso però è stato un episodio surreale che spero non ricapiti mai più”. 

  

 

 

La guerra è un qualcosa che ti segna, che ti resta dentro e che in un certo senso ti fa sentire impotente”. Quando te lo racconta Talles ha lo sguardo di un ragazzo di 23 anni che ha vissuto in prima persona uno scenario inimmaginabile. Erano fermi da dicembre per la sosta, si stavano preparando a ripartire. Poi c’è stata “l’operazione militare” di Putin, che ha fermato il mondo. “Abbiamo deciso, in accordo con il club, di andare via subito dall’Ucraina. Prima che le cose si mettessero male. Ero con la mia ragazza e con due compagni, un argentino e un brasiliano, che aveva anche una figlia piccola. Siamo rimasti bloccati quattro giorni alla frontiera con la Polonia e non potevamo uscire dal paese.. Sono stati momenti tremendi, senza dormire e praticamente senza mangiare”. Episodi che ti lasciano un marchio indelebile.

 

Dunque nonostante le difficoltà l’Ucraina resiste. E prova, anche attraverso lo sport, a ripartire piano piano. “Io sono tornato a Lviv dopo essermi allenato per mesi in Finlandia. Adesso spero di restare qui e che tutto torni come prima”. Lo speriamo tutti. Con l’augurio che l’unico rumore che si torni a sentire in uno stadio sia quello dei tifosi che esultano e non quello delle sirene. E che si possa tornare a correre dietro un pallone e non verso i rifugi. Questa è la strada verso la normalità e va seguita a testa alta, sognando un calcio lontano dalle bombe e che la guerra che rimanga soltanto un brutto ricordo. 

Lorenzo Cascini

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