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Tre regole, un modulo e, finalmente, lacrime di gioia: è il Milan (anche) di Vincenzo Montella

Si è presentato a Milanello il luglio scorso con la curiosità di un bambino al primo giorno di scuola: cappellino in testa, pettorina, sguardo interessato, stando in disparte rispetto al gruppo che allenava per la prima volta. Studiarlo nel dettaglio per sfruttarne a pieno le potenzialità, con l’obiettivo di non sfigurare nel primo appuntamento con una big che da anni, forse, aveva continuamente sognato: nella casa che fu del suo idolo, Marco Van Basten, e del club che sin da piccolo tifava, proprio per merito di quel “9” di cui, negli anni a venire, avrebbe vestito il numero altrove.

Sei mesi dopo, Vincenzo Montella si è ritrovato alla fine del suo primo quadrimestre rossonero con voti in pagella altissimi ed addirittura una lode: quella nella materia-Supercoppa, sollevata oggi come primo trofeo in carriera conquistato da quando siede in panchina. Naturale, tra i commenti generali, chiederselo: chi l’avrebbe mai detto? Un Milan non troppo diverso da quello della scorsa stagione che sembrava convincere poco, almeno per quanto concerne la rosa: perchè soprattutto a livello di psicologia, tra tanti libri che l’Aeroplanino ha saputo studiare al meglio, dalle parti di Milanello aria ed umore sono totalmente cambiati. Grazie a lui.

Prima regola: spensieratezza. Più volte ribadita, tra conferenze stampa ed interviste. Essere sì consci dei propri limiti, ma vederli come una possibilità per migliorarsi e non come ostacolo: medicina che ha portato il Milan a sostare tuttora, in maniera inattesa, nelle zone alte della classifica, ad una sola vittoria di distanza (con una gara da recuperare) da quel podio sul quale ha saputo rimanere a lungo. Seconda regola: credere in se stessi. E se servono un paio di esempi, prendete Paletta e soprattutto Suso: rigenerato sì dalla cura Gasperini, ma risultato ancor più incisivo nella sua prosecuzione d’avventura in rossonero. Per larghi tratti incontenibile, deciso a giocarsi le sue chances in maglia Milan e capace di confermare le proprie intenzioni con i fatti, divenuto interruttore offensivo di una squadra che, con lui, ha completamente cambiato faccia.

Regola numero tre: guai a lasciarsi influenzare. Perchè obiettivamente parlando, in quella che dovrebbe essere l’ultima stagione del Milan targato Fininvest, le voci sul futuro relativo ad una nuova proprietà e dirigenza avrebbero potuto certamente distrarre chiunque: ma non questa squadra. E non con Vincenzo Montella in panchina, come ammesso anche da chi, come Bonaventura, da ormai tre anni vive l’ambiente di Milanello: “valore aggiunto” e “bravo ad isolare” il suo gruppo da ogni materia extra campo. Ciò di cui Montella non si è mai voluto occupare, preoccupandosi di costruire un gruppo coeso, affiatato e, dopo un digiuno di 5, lunghi anni, nuovamente vincente.

Non era andata bene con i giovanissimi della Roma, sconfitti in finale scudetto proprio dal Milan, né tantomeno in finale di Coppa Italia contro il Napoli, quando sedeva sulla panchina della Fiorentina: oggi, invece, c’è stato spazio per tante lacrime di gioia, lontano anche dagli occhi più indiscreti. Dopo essersi sgolato, mosso avanti e indietro nella sua area tecnica, aver mischiato sorrisi e tensione nella lotteria dei rigori più bella della sua vita. Che ha visto protagonista, nei 120 minuti precedenti, un Milan lentamente forgiato dalla sua impronta, con l’immodificabile 4-3-3 come marchio di fabbrica ed una voglia senza fine di affidarsi alla linea verde, trasformando la squadra rossonera in quella più giovane della Serie A. 23 anni e 343 giorni solo per l’undici in campo due settimane fa all’Olimpico, tra giganti ancora senza patente e in convitto come Donnarumma ed inattese sorprese come Pasalic: due che oggi, a Doha, hanno contribuito pesantemente a portare nella bacheca rossonera il trofeo numero 29 dell’era Berlusconi. Questione di semplice matematica, ma anche di tanta, tantissima psicologia: quella applicata al Milan che Vincenzo Montella ha studiato, e bene, in questi mesi. Chiudendo un primo quadrimestre da voti altissimi, in attesa della pagella finale. Tenendosi nel frattempo stretto il gusto di quella lode che, prima d’oggi, mai era riuscito ad assaporare.

Simone Nobilini

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