Festeggiare in famiglia, a Roma, lontano dalla “sua” Roma, in trasferta in Azerbaijian. Francesco Totti ha deciso di spegnere le 41 candeline a casa. Avrebbe dovuto seguire la squadra a Baku, stadio “Tofiq Bahramov”. Lì gioca il Qarabag, avversaria di Champions dei giallorossi. Lontanissima Trigoria, distante 4500 chilometri. Ancora vicino il suo ritiro, neanche 4 mesi fa. Quel giorno c’erano Ilary, Cristian, Chanel e Isabel accanto a lui. Saranno loro a scaldare questo inedito 27 settembre, il suo primo compleanno senza pallone fra i piedi.
Trenini e palloni. I regali che amava di più da bambino. Con i primi ha smesso presto, con gli altri non avrebbe mai voluto farlo. Ha passato più di 40 anni ad accarezzarli o a colpirli con violenza. L’ultimo, nel suo stadio, lo ha guardato a lungo. L’ha firmato con un pennarello e calciato in curva, fra le braccia di chi l’ha amato più forte. Era il 28 maggio. La festa per celebrare la fine del suo primo tempo. Quello della vita di tanti tifosi che quel giorno hanno pianto, ripensando agli anni passati con lui. Una fine, il passo obbligato prima di un nuovo inizio.
È strano questo compleanno. Non ci sono i cucchiai, gli assist millimetrici, i tiri al volo. Niente di quello che c’è sempre stato. Né celebrazioni speciali, né polemiche sul suo utilizzo. C’è altro. Una celebrazione intima, familiare, al posto di un rito collettivo. La possibilità di concedersi quelle pause che gli impegni in carriera non hanno mai permesso. Fare il padre, il marito. E il dirigente, certo. Un mestiere nuovo da imparare. Il primo lavoro dopo una vita passata a giocare. La giacca e la cravatta hanno costretto all’armadio la maglia numero 10, armatura e tatuaggio insieme. Il calore dello spogliatoio è stato sostituito dal tepore degli uffici. Le pacche sulla spalla e i sorrisi al posto degli scherzi e delle risate.
Sì, è tutto diverso. “Ma a un certo punto della vita si diventa grandi. Così mi hanno detto e così il tempo ha deciso. Maledetto tempo”, diceva in quel giorno di maggio. La voce emozionata, l’abito di sempre, per l’ultima volta, dopo 785 partite. Poi l’uscita dal campo, sapendo di doversi cambiare. La divisa e un po’ anche l’anima.
Erano giorni di tormenti. La paura del domani, la malinconia da prendere a calci per fare spazio a un presente sereno. In pace, forse, dopo anni di battaglie. Contro chi vedeva le lancette scorrere più veloci. Contro se stesso, per superarsi. E contro il tempo, il difensore che, dopo essere stato ripetutamente beffato, è riuscito a fermarlo.
“A 41 anni, uno come Francesco Totti a Roma è molto più utile adesso piuttosto che quando giocava tre minuti in Roma-Carpi”. Parola di Daniele De Rossi, compagno di sempre, capitan successore.
Percorso difficile da accettare all’inizio, quanto affascinante da scoprire strada facendo. In campo Totti ha provato tanti ruoli, fuori ha appena iniziato a scoprirli. Apprendista dirigente al fianco di Monchi, consigliere di Eusebio Di Francesco, studente allenatore a caccia del patentino di base per iniziare dalle squadre giovanili. Forse il primo passo di una nuova carriera o magari solo una porta da tenere aperta se il richiamo dell’erba del campo, prima o poi, diventasse impossibile da ignorare. E c’è da scommetterci visto che già questo venerdì, smaltito il festeggiamento, viaggerà fino a Tiblisi, capitale della Georgia per giocare una partita di beneficenza organizzata da Kakha Kaladze. Un regalo che si concederà prima di rimettersi “a disposizione a 360 gradi, dal presidente alle giovanili”, come ha dichiarato fin da metà luglio, inizio della sua nuova carriera. La stessa curiosità del ragazzino che a Porta Metronia chiamavano lo “Gnomo”, l’esperienza dell’uomo, cresciuto e diventato simbolo eterno. “La vera vittoria della battaglia è passare 25 anni con la stessa maglia”, recitava uno striscione all’Olimpico nel suo ultimo giorno da calciatore.
Chissà quanti ne passeranno ancora. Sempre dalla stessa parte, semplicemente con una veste diversa. Auguri Francesco Totti, campione senza tempo, romanista senza etichette.
Claudio Giambene
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