Tifosi del Tottenham (IMAGO)
“Se la maggioranza in ufficio tifa Arsenal, giusto non assumere un tifoso del Tottenham”: la sentenza in Inghilterra.
Un tempo nei colloqui di lavoro a fare la differenza erano titoli, esperienze e qualifiche. Poi sono arrivate le cosiddette “attività extracurricolari”: sport, hobby, passioni.
Dettagli capaci di rivelare lati nascosti del carattere di un candidato, la capacità di socializzare, la predisposizione al lavoro di squadra.
Oggi, però, il confine si sposta ancora più in là. In Inghilterra un giudice ha stabilito che anche la fede calcistica può incidere sulle possibilità di essere assunti. Protagonisti, loro malgrado, i tifosi del Tottenham.
La decisione porta la firma di Daniel Wright, magistrato della sezione di Croydon, a sud di Londra. Secondo la sua interpretazione, un’azienda può legittimamente preferire un candidato che tifi Arsenal a uno che sostenga gli Spurs, se ciò serve a garantire la coesione del gruppo di lavoro. Non si tratta, a suo dire, di discriminazione, bensì di buonsenso organizzativo: preservare l’armonia dell’ufficio ha priorità.
Il caso trae origine dalla causa intentata da Maia Kalina, cittadina russa che accusava la società Digitas LBI di averla scartata all’ultimo colloquio perché introversa e poco incline alla socialità tipica dei colleghi britannici: niente pub, niente imprecazioni di rito, poca voglia di integrarsi.
La stessa intervistatrice, Stephanie Hill, aveva spiegato che la scelta era ricaduta su un’altra candidata semplicemente “più adatta al team”.
Questo si è ripetuto con uno dei derby più accesi d’Inghilterra. Per rendere più chiaro il concetto, Wright ha scelto di evocare il calcio: “Se in un ufficio tutti sono tifosi dell’Arsenal, assumere un altro sostenitore dei Gunners invece di un candidato altrettanto valido ma tifoso del Tottenham può essere giustificato”.
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