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Torres, l’Europa League e l’Atletico Madrid: il lieto fine che ci meritavamo

A livello internazionale aveva vinto tutto, Fernando Torres. Un Mondiale, due Europei, la Champions League, l’Europa League. Continuava a sentirsi però “incompleto”. E non perché in questo palmares che possono vantare solo altri tre giocatori in Europa (Kohler, Möller, Mata, unici insieme al Niño a vincere tutte queste quattro competizioni) mancano dei titoli nazionali. Ma perché, semplicemente, non aveva ancora vinto qualcosa con la sua squadra del cuore: l’Atletico Madrid. Una storia d’amore cominciata ufficialmente 17 anni fa, con l’esordio in maglia rojiblanca all’età di 17 anni, nel 2001: il giocatore più giovane a vestire la camiseta dell’Atleti. Ma il nome di Torres circolava già da prima nell’ambiente colchonero: sin dal 1995, anno in cui quell’unico bambino che in classe tifava Atleti e non Real Madrid era stato preso e riconosciuto come diverso dagli altri da Manuel Briñas, il viejo che tornerà ad abbracciarlo quando nel 2016 Torres segnerà il suo 100° gol con l’Atletico Madrid. L’anno successivo, nel 2002, i colchoneros torneranno in Primera Division: fino a ieri, l’unica “vittoria” di Torres con l’Atletico Madrid. Due anni dopo, Fernando diverrà il più giovane ad esserne capitano, a soli 19 anni.

Poi la consacrazione e la scelta, dolorosa ma necessaria, di lasciare Madrid nel 2007. Direzione Liverpool, che coincide con il periodo migliore di Torres dal punto di vista personale: ad Anfield segna tanti gol e macina record, contestualmente diventa Campione d’Europa con la Spagna (classificandosi terzo nel 2008 nella classifica per il Pallone d’Oro, dietro a Messi e Ronaldo) aprendo quel ciclo dorato passato alla storia e sublimato con la conquista della Coppa del Mondo nel 2010, sollevata con al polso una sciarpa… del suo Atleti. Poi il passaggio al Chelsea, una parentesi negativa dal punto di vista personale, ma ricca di trofei: con i blues vince la Champions League nel 2012, segnando anche in semifinale al Camp Nou e subentrando nella finale di Monaco di Baviera: sarà lui – forse lo ricordano in pochi – a procurarsi il calcio d’angolo che darà vita al pareggio di Drogba. Nel 2014 Torres sbarca in Italia, ma la sua avventura al Milan dura soltanto pochi mesi: già a dicembre dello stesso anno, Torres annuncia il suo ritorno al Calderon: c’è un cerchio da chiudere, un lieto fine da scrivere.

Il gol n.100 con l’Atletico Madrid, la doppietta al Bernabeu una settimana dopo essere tornato, la meraviglia contro il Celta Vigo, il saluto con doppietta al Calderon, la doppietta nel nuovo Wanda Metropolitano, le 400 partite in maglia rojiblanca. Gli anni dell’Atletico 2.0 di Torres sono le ultime pagine bianche di un libro da firmare con le sentenze che resteranno, nonostante le tante panchine e i pochi minuti degli ultimi mesi. L’ultima sentenza, la parola fine, ieri: l’amore tra Fernando Torres e l’Atletico Madrid diventa corrisposto anche nella forma, grazie a quel trofeo vinto (e sollevato, insieme a Gabi) nella sua ultima stagione con la squadra per cui ha sempre tifato da bambino. Ha annunciato il suo addio il 9 aprile 2018, perché “mi sento ancora un calciatore e vorrei cercare spazio altrove, anche se l’idea era di ritirarmi qui”. Ha preferito fare un passo indietro, per evitare di dare adito alle voci che lo vorrebbero in contrasto con Simeone: “Non scatenerò mai lotte interne, perché all’Atletico siamo in pochi rispetto agli altri e dobbiamo restare uniti”. L’Atletico sopra ogni cosa, sopra anche i propri desideri. “Un terzo ritorno? Sono troppo attaccato a questa società per non dire che prima o poi accadrà. In futuro vorrei avere l’opportunità di tornare”. Chissà se come calciatore, poco importa. “Ho realizzato un sogno che avevo sin da piccolo: è un finale fantastico, difficile da spiegare quello che provo. Vi meritate il Mondo, Atléticos”. E tu meritavi questo lieto fine, Niño.

Marco Bonomo

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