Presente granata e futuro azzurro? Ancora è presto per parlarne, ma questa è la speranza di Giampiero Ventura che non nasconde il suo desiderio di allenare l’Italia. Non è la prima volta che si parla dell’allenatore genovese come successore di Antonio Conte e lui sarebbe pronto a tutto pur di sedere nella panchina più prestigiosa del nostro Paese: “Altroché se mi piacerebbe. Mi hanno proposto di andare lontano , all’estero, per allenare una nazionale. Mi garantivano tanti soldi, ma io non ho accettato. Se mi chiedessero di scegliere tra il Bayern, il Chelsea e la Nazionale azzurra io non avrei dubbi. Allenare la Nazionale sarebbe un tale onore che davvero non sarebbe paragonabile con il più redditizio dei contratti. Sono convinto che stia crescendo una generazione di giovani calciatori che potrebbero consentire alla nostra Nazionale di aprire un ciclo come fu quello tra il 1978 e il 1982. Nomi? Posso fare quello di Berardi, Zaza, Baselli, Benassi… Ma ce ne sono tanti, in A come in B. Conte sta facendo un ottimo lavoro, ma forse per gli Europei alcuni di loro non sono pronti. Tuttavia si può programmare per i prossimi anni”.
Campione più forte che ha allenato? “El Mago” Fabian O’Neill: “Era un vero campione. Ma beveva, beveva tanto. Finché stette con noi, al Cagliari, si comportò da professionista. Prima e dopo un disastro. Alla Juve si accorsero della situazione e durò poco. Ma in campo, quando toccava la palla, si accendeva la luce. Incarnava l’essenza del calcio. Non ha lasciato il segno perché, in lui, il calciatore e l’uomo si erano separati, erano entrati in conflitto. Un allenatore deve prendere per mano un ragazzo così e aiutarlo a ritrovarsi. E’ quello che facemmo con lui”. Ventura è uno degli allenatori più apprezzati d’Italia, perché? “Contesto la seriosità fasulla del calcio. Il calcio vero non sono le polemiche che a mezzanotte della domenica sono già dimenticate, ma la rovesciata di Riva con il Vicenza, le finte di Rivelino, i dribbling di Ronaldo. Quando giocavo contro la Juve di Zidane mi dicevo quanto ero fortunato a vedere Zinedine da così vicino, dalla panchina. Io amo il calcio, la sua bellezza, persino la sua poesia. Io cerco di aiutare ogni ragazzo a diventare un discreto, buono o ottimo calciatore”.
Cosa significa allenare il Torino? “La sua storia è nel Dna dei tifosi e della città. Sono stati momenti terribili, che hanno spezzato sogni. Bisogna portarli dentro con orgoglio e dignità. Ma occorre anche onorare la maglia guardando avanti. Il Torino non è stato solo grande ieri, deve tornare a esserlo oggi e lo stiamo facendo. E’ chiaro che nel calcio moderno tra chi ha introiti per 400 milioni e chi ne ha per quaranta ci sarà sempre una differenza. Oggi il nostro target è l’Europa e a quello parametriamo i nostri sforzi. La maglia granata pesa per la sua storia. Ma è una maglia bellissima anche per quella storia”. Il passato da calciatore: “Entrai nella Sampdoria grazie a un macellaio amico di famiglia che mi aveva segnalato per un provino. Non ero male, ma a un certo punto cominciai ad assaporare gioie della vita che non erano di cuoio. Avevo voglia di vivere. Se non ho avuto successo come calciatore, non ero andato oltre la C, è stata colpa mia, non l’ho meritato”.
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