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“Toda la noche, Pablo Granoche!”. Il bomber dello Spezia si racconta: “Cresciuto con il mito di Batistuta”

Toda la noche, Pablo Granoche!” cantavano i tifosi del Modena e la “notte” del Diablo” è tutt’altro che finita. A 33 anni il bomber di Montevideo è tornato a terrorizzare le difese di serie B e sabato scorso ha deciso Spezia-Perugia con una delle sue “doppiette“. Ha carburato lentamente Pablo, un diesel con il turbo acceso a partire dalla tredicesima giornata e sono tornati anche i gol.

“Ci sono sempre stato” – dichiara Granoche ai microfoni di GianlucaDiMarzio.com – “Solo che a volte le cose girano bene e altre un po’ meno. Con il passare delle partite mi sento meglio e ho trovato la forma migliore. Sono felicissimo per la doppietta, segnare è la seconda cosa che chiedo a ogni gara, la prima è la vittoria della squadra: i miei gol devono servire a questo. A La Spezia mi trovo benissimo, società seria, importante, che fa le cose per bene. Mi hanno cercato insistentemente questa estate e adesso sono qui. L’obiettivo? Non possiamo fissarlo a lungo termine, soprattutto in serie B. Adesso pensiamo a chiudere bene il girone d’andata. Abbiamo partite delicatissime, come quella di ieri a Pisa. Cerchiamo di stare nel treno play-off”.

Scelta difficile questa estate quella di lasciare Modena. E’ l’esperienza più importante della tua carriera? “Due anni bellissimi a livello personale. Ho trascorso stagioni felici, sono diventato capocannoniere e abbiamo colto risultati importanti. Purtroppo la stagione scorsa è arrivata la retrocessione, ma non cancella il mio rapporto con la piazza. Potrei paragonare l’esperienza in Emilia all’anno della Triestina, con la differenza che a Modena non mi sono infortunato al ginocchio come in Friuli. Il primo anno in Italia sono andato molto bene ma quell’infortunio mi ha penalizzato”.

Tutto è cominciato… come? “In Uruguay il primo regalo per un bambino è un pallone da calcio: è stato così anche per me. Ho iniziato nella strada davanti a casa con i miei amici e poi mi sono iscritto alla scuola calcio del Tacuarembó F.C e la cosa è diventata più seria. Ho fatto tanti sacrifici per arrivare fino alla prima squadra ma alla fine sono stato ripagato dei miei sforzi. A quell’età magari avresti voglia di divertirti e pensare a goderti un po’ la libertà ma le rinunce le ho fatte più che volentieri. Ho lasciato casa a 19 anni e sono ancora fuori, ma sono fiero di quello che ho fatto. Ho scommesso sul calcio e mi ha premiato. Il mio idolo era Batistuta e più lo guardavo giocare più mi innamoravo del pallone. Nell’epoca in cui sono cresciuto ‘Batigol’ nel ruolo era il numero uno”.

E tu sei diventato numero uno in serie B, con 82 gol sei il bomber straniero più prolifico di sempre: “Mi riempie di orgoglio perché non è facile arrivare dall’altra parte del mondo e importi in una realtà completamente diversa e difficile come quella del calcio italiano. Serie A? Non ho mai giocato con la continuità con la quale gioco in B. Non sono mai stato protagonista di una stagione da titolare e questo mi ha impedito di prendere fiducia. In massima serie la concorrenza aumenta e hai tanti compagni forti, del tuo stesso livello. Questo può portare ad alternarti troppo spesso e a impedirti di avere la continuità necessaria. Ma non rimpiango nulla, ho fatto il mio massimo e sono felice della mia carriera“.

Contrariamente a molti sudamericani tu non hai tatuaggi, come mai? “Non sono amante dei tatuaggi. Ne ho solo uno personale sotto il braccio, una scritta. Non mi piace vedere tutte le braccia e le gambe pitturate tipo rettili. Basta quella data e e quella scritta, ma non posso svelarti cosa significa per me (ride). In compenso ho tante cicatrici, me le hanno procurate i difensori italiani: terribili”. In Italia si mangia bene? “Benissimo (ride ancora). Il mio piatto preferito sono le lasagne, ne vado pazzo. La cosa più buona che ho mangiato in Italia fino a questo momento”. Come è nato il tuo soprannome, “El Diablo”: “E’ nato a Trieste. Arrivavo dal Toluca, squadra messicana, i “diavoli rossi” appunto. Quando mi hanno presentato alla Triestina i giornalisti mi hanno messo questo soprannome “El diablo” e da lì mi è rimasto. Ormai tutti mi chiamano così e devo ammettere che mi piace”.

Capitolo Uruguay. Vanti una solo presenza, magari la tua storia con la “celeste” poteva essere diversa: “Sì. C’è un po’ di rammarico perché sono stato convocato a 20 anni e ho subito esordito. Dopo è stato cambiato il c.t. e non ho più avuto l’opportunità di tornare. Nell’era Tabarez non sono mai stato convocato ma bisogna essere realisti, negli ultimi 10 anni l’Uruguay là davanti ha dei mostri, difficilissimo trovare spazio. Suarez il più forte centravanti del mondo? Credo di sì, in questo momento sta dimostrando di essere il numero uno. Gli faccio i complimenti perché ci sta rappresentando nel migliore dei modi e non è fuoriclasse solo nel Barcellona, ma anche in Nazionale“.

Gol più bello in carriera? “Il più bello l’ho segnato in rovesciata al Catania quando giocavo nel Novara: in quella gara vincemmo per 3 a 2. Un gol del genere penso che meriti sempre di essere citato”. Quale insegnamento ricevuto dal calcio porterai ai tuoi figli? “Di non smettere mai di crederci e di lavorare sempre sodo, perché quando hai un obiettivo devi andare fino in fondo. Poi, comunque vada, non avrai rimpianti e potrai vivere sereno”. Obiettivi per il futuro? “Non me li pongo. Guardo a questa stagione, segnare più reti possibile e magari conquistare qualcosa d’importante con lo Spezia. Mai fare programmi a lungo termine, è controproducente per me. Dopo questa stagione si vedrà…”. Per il momento è sufficiente essere tornato “El Diablo”, il terrore delle difese della serie B.

Francesco Caruso

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