Óscar Washington Tabárez, Maestro da 100 e lode. Per l’Uruguay la storia l’ha già fatta in tanti modi, ma raggiungere una pietra miliare come le cento vittorie sulla panchina della nazionale è un traguardo incredibile anche per un veterano come lui.
Aveva mancato l’obiettivo nella scorsa sosta, quando perse contro l’Ecuador, la stessa squadra con cui debuttò nel lontano 1988, anno del primo via della sua grande relazione con l'Uruguay. Perché Tabárez sulla panchina della Celeste ci è passato in due volte: una è durata solo fino al Mondiale del 1990 in Italia, terra del suo destino poi con Cagliari e Milan; la seconda è invece quella più gloriosa, iniziata nel 2006.
Era arrivato per risollevare la nazionale dopo il flop del Mondiale 2006, quello mancato allo spareggio con l’Australia per l’errore di Zalayeta dal dischetto, che diede ai Socceroos la rivincita del playoff dell'edizione precedente. Da lì ha costruito la sua grande nazionale, quella delle tre qualificazioni mondiali consecutive, compreso l’anno del grandioso quarto posto in Sudafrica, più l’indimenticabile vittoria della Copa América in Argentina del 2011.
Nella nostra era Tabárez è stato il faro, la guida dell’Uruguay. El Maestro, soprannome diffuso tantissimo tra gli allenatori di tutto il mondo, ma mai azzeccato come in questo caso: lui è stato un insegnante per davvero, a Cerro a Montevideo, quando la vita da calciatore non pagava abbastanza per guadagnarsi da vivere e doveva dare lezione ai bambini delle elementari per arrotondare lo stipendio. Aveva la pazienza, oltre che per tenere i bambini, anche di aspettare l’occasione giusta, tanto che la sua carriera da allenatore cominciò dopo aver sentito per radio un annuncio per allenare dei ragazzi.
E di ragazzi ne ha allenati tanti, li ha visti crescere e diventare campioni sotto la sua guida: Suárez e Cavani hanno debuttato con lui, così come Darwin Núnez, che potrebbe esserne l’erede. Tabárez ha significato tantissimo per l’Uruguay, ma l’Uruguay a sua volta ha significato tantissimo per lui: quando gli fu diagnosticata la sindrome di Guillain Barrè, che di fatto gli crea seri problemi motori alle gambe, avrebbe potuto lasciare, e invece ha trovato nel suo lavoro la voglia di andare avanti.
Ha fatto mille sacrifici, dagli spostamenti col caddy al suo inseparabile bastone, triste ma fondamentale nuovo amico della carriera, che gli permette nel 2020 di essere ancora lì. Mentre tutte le panchine cambiano con grande velocità, El Maestro è sempre lì a scrivere la storia del suo Paese. Fino allo splendido 3-0 alla Colombia, la vittoria numero 100, l'ultimo piccolo passo di un grande uomo come lui.
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