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Fra trionfi e ironia: Eriksson, storia di un gentleman

Se ne è andato dopo tanti, tantissimi abbracci di tutto il mondo del calcio e dei “suoi” tifosi. “La più grande barriera al successo è la paura di fallire”: Sven Goran Eriksson ha condotto la sua vita, dentro e fuori dal campo, tenendo sempre a mente questa frase. L’allenatore e dirigente svedese è riuscito a farsi amare veramente da tutti. Dopo l’annuncio della sua malattia ha visitato gli stadi della sua carriera, ricevendo amore e gratitudine dalle generazioni che lo hanno visto allenare e da quelle che, invece, hanno solo sentito racconti su di lui. Eriksson era l’allenatore che tutti avrebbero voluto avere nella propria squadra e che, soprattutto, lasciava ogni club circondato da lacrime di commozione.

L’ironia e l’amore: il connubio della carriera di Eriksson

Eriksson ha girato molti club e molti paesi. È stato protagonista di grandi imprese. A far sorridere, però, è la grande ironia con cui ha sempre analizzato tutto. “Per guidare la nazionale inglese bisogna vincere tutte le partite, non avere una vita privata e magari guadagnare poco”: così commentò un momento complicato che stava vivendo alla guida dei Three Lions.

C’è anche un altro aneddoto che spiega il legame di Eriksson con le sue tifoserie. A Manchester, sponda City, lo svedese rimase una sola stagione, prima di lasciare di comune accordo con la società. I tifosi, però, nonostante un’annata non spettacolare, si legarono tantissimo a lui al punto di creare una campagna dal nome SOS (Save Our Sven), per farlo restare.

A Roma è passato da essere l’incubo dei tifosi della Lazio a regalare loro la seconda più grande gioia della storia. Lo svedese, infatti, prima dei biancocelesti, aveva guidato anche la Roma. Con i giallorossi sfiorò lo scudetto nella stagione 1985-1986, traguardo compromesso da una sconfitta contro il Lecce già retrocesso nelle ultime giornate. Con la Lazio, invece, lo scudetto lo ha vinto, portando i biancocelesti anche sul tetto d’Europa.

I grandi successi con la Lazio

Che i presupposti per un grande amore tra lui e i tifosi della Lazio fossero buoni lo si era capito già dal primo anno. In campionato, infatti, arrivò solo un settimo posto ma nel corso della stagione i biancocelesti vinsero quattro derby su quattro: così tanti da meritare una targa celebrativa, presente ancora oggi a Formello. La Coppa UEFA, invece, sfumò solo in finale.

La Lazio, però, aveva già fatto capire di essere una super squadra, capace di vincere poi uno Scudetto, un’altra Coppa Italia, una Supercoppa Italiana, una Coppa delle Coppe e, soprattutto, una Supercoppa UEFA contro il Manchester United degli invincibili.

L’annuncio della malattia e i mesi successivi

Ho il cancro, mi resta circa un anno di vita”: Eriksson lo rivelò in un’intervista nel gennaio 2024. Da quel momento tutto il mondo del calcio si è stretto intorno a lui. Benfica e Lazio lo hanno voluto ospitare allo stadio per concedergli il tributo e tutto l’amore dei propri tifosi. Il Liverpool, invece, ha voluto coronare il suo sogno di allenare il club in una partita tra leggende ad Anfield.

Di lui rimarranno i tantissimi successi ma soprattutto l’immagine di come si affrontano i momenti brutti e bui della vita. Lui lo ha sempre fatto con il sorriso e con la grande ironia che contraddistingue solo i più grandi, quelli che alla fine non possono morire, perché restano nella memoria di tutti.

Giuseppe Vignola

Classe 2001, ho sempre pensato che la gioia che può dare il calcio è imparagonabile a tutto il resto. Questa mia tesi, che può sembrare assurda, è stata avvalorata da un premio Nobel, Albert Camus, che disse: “Non c’è luogo in cui un uomo sia più felice che in uno stadio di calcio”. La felicità in uno stadio come tifoso l’ho provata, come calciatore non succederà mai, spero che quella da giornalista sia il mio futuro.

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