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Stromberg: “Atalanta, l’Europa è il giusto premio. Ora serve una rosa all’altezza”

Ben 219 partite con l’Atalanta, tra il 1984 ed 1992. Glenn Stromberg è una vera e propria bandiera della squadra nerazzurra. Svedese ma bergamasco d’adozione, rimasto in Italia per l’affetto che lo lega a questa città. Tra un impegno e un altro, però, non ha mai l’opportunità di seguire la sua Atalanta allo stadio. Oggi è un commentatore della tv svedese, magari l’anno prossimo parlerà dei nerazzurri in Europa League: “Ma credo che in Svezia abbiano pensato di comprare i diritti. Peccato, sarebbe stato emozionate”, ha detto lo stesso Stromberg alla Gazzetta dello Sport.

Lo svedese, poi, parla della grande stagione degli uomini di Gasperini: “L’Europa è il giusto premio di un grande campionato. Una storia bellissima. Ora vedo che in Inghilterra, e anche in altre parti d’Europa, sempre più gente mi chiede notizie dell’Atalanta. Sta tornando di moda. Ora servirà una rosa più robusta per affrontare il doppio impegno. Bisogna programmare bene. L’esperienza del Sassuolo insegna. Le partite di Europa League a Reggio Emilia? Sì, è un peccato. ma conosco i nostri tifosi, sarà come giocare a Bergamo. Non lo vedo come un grande svantaggio”.

Atalanta che torna in Europa dopo quasi 30 anni, ora il paragone Mondonico-Gasperini è automatico: “Ma che domanda! Impossibile fare paragoni, ogni allenatore ha una sua storia – prosegue lo svedese – Bisogna giudicarli dai risultati. Con Mondonico ho giocato decine di partite, Gasperini non lo conosco. Ma ha dimostrato di essere un grande allenatore, dando un gioco spettacolare e lanciando giovani di valore. Il rinnovo del contratto è stato un segnale importante”.

E poi via di ricordi, a partire da quella semifinale contro il Malines di 29 anni fa: “Il ricordo di una serata perfetta nonostante la sconfitta. Lo stadio strapieno tre ore prima, una città ferma, l’orgoglio per essere l’unica squadra italiana rimasta, i nostri tifosi che alla fine escono con i belgi. Il mio gol? on solo, anche un rigore non dato per un fallo su di me grosso come una casa. Ho appena rivisto l’azione, era dentro di un metro abbondante. Una stagione per certi versi irripetibile. Stressante, anche: ricordo che l’ultimo mese e mezzo di campionato praticamente non mi allenavo per non rischiare infortuni. La partita che non dimentico? Forse la prima di Coppa Coppe con i gallesi del Martyr. Perché ero appena stato nominato capitano e perché è stata la partita più importante della loro storia tanto è vero che in seguito hanno scelto il nerazzurro come colori della terza maglia. Insomma, una specie di ringraziamento. Quella che cancellerei, invece, è la sconfitta di Mosca per 2-0 con lo Spartak con espulsione ingiusta nel finale (trentaduesimi di Coppa Uefa, 27 settembre 1989, ndr). Ho incontrato poco tempo fa l’arbitro, lo svedese Karlsson, si ricordava tutto e mi ha detto che si era fidato del guardalinee… E poi una che non ho giocato, il ritorno a Lisbona (1-1, quarti di Coppa Coppe, 16 marzo 1988, ndr): io ero rimasto in ospedale a Bergamo con 40 di febbre per un virus, ma i tifosi dello Sporting mi attaccarono dicendo che, da ex del Benfica, avevo avuto paura di giocare. Figuriamoci. Coppa Uefa o Europa League? Non si possono fare confronti: nella vecchia Uefa c’erano anche le seconde classificate dei vari campionati, nell’Europa League la partecipazione si è allargata, ma i turni preliminari in genere sono semplici”.

Redazione

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