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Playoff serie B: Spezia, la A è tua. Romanzo di un’impresa

Il numero 68 sa di rivoluzione. Profuma di attacco al sistema e di rovesciamento dello status quo. Lo Spezia è il 68esimo club che va in serie A. Un ribaltone della storia, un calcio a una tradizione di periferia, fatta eccezione per quello scudetto del 1944 vinto dai Vigili del fuoco spezzini in un’Italia ancora da liberare. Un trionfo che la FIGC ha riconosciuto nel 2002, facendo sì che quello scudetto campeggiasse per sempre sulle maglie spezzine.

Altre epoche, altre vittorie. La più grande della storia recente dello Spezia arriva dopo una sconfitta. Il gol di Rohden non basta al Frosinone a ribaltare il destino. Il punteggio aggregato nei 180 minuti dice 1-1 e il terzo posto ligure in stagione regolare vale più dell'ottavo ciociaro. E allora via alla festa per un'impresa firmata da un incendiario e da un pompiere. Da un allenatore e da un direttore generale che non ha mai smesso di credere in lui. Lo Spezia che vola in serie A ha la grinta di Vincenzo Italiano e la calma di Guido Angelozzi. Ora che il Golfo è una festa di luci, è giusto ricordare che a ottobre era soprattutto un mare in tempesta. Perché questa promozione comincia da una bufera e dalla capacità dei “marinai” di capire il vento. La bufera che poteva spazzare via tutto ha una data: 30 settembre 2019, il giorno di Spezia-Trapani 2-4. Dopo sei giornate lo Spezia aveva solo 4 punti e i tifosi in piena contestazione fuori dai cancelli del Picco. Non volevano più Italiano in panchina e chiedevano, diciamo così, maggiore impegno ai calciatori. Angelozzi andò a parlare con loro, scuotendo la testa alla prima richiesta, promettendo di accontentarli sulla seconda.

ANGELOZZI E QUEL PROCLAMA DI OTTOBRE

Si parlò di ultimatum per Italiano, di ultima spiaggia contro il Benevento. Sei giorni dopo arrivò un’altra sconfitta interna e l’ultimo posto in classifica. ma anche la difesa a oltranza dell’allenatore e del gruppo da parte di Angelozzi. Che dopo quella sconfitta, parlò così:Sono ogni giorno al campo, seguo da bordocampo gli allenamenti e vedo una squadra sudare, correre, lottare e un mister lavorare. Se avessi dubbi su di loro partirebbero da lì, ma è l’opposto. Solo la sconfitta con il Trapani è meritata, ma io vado avanti così. Nella mia carriere ricordo Allegri a Cagliari, Sarri a Empoli e Simonelli che ebbi al Catania, tutti tecnici che dopo poche giornate si voleva esonerati, ma che sono stati difesi dai presidenti. Italiano farà una grande carriera e noi andremo ai play off, lo dico oggi che siamo ultimi”. Era la prima decade di ottobre e forse solo Angelozzi credeva davvero a quello che sarebbe accaduto da lì in aventi. Forse solo lui e Vincenzo Italiano. Una vittoria in rimonta a Pescara, restando sempre fedele a un 4-3-3 mai modificato. Gioco e risultati, un ciclone lungo un inverno. Tredici risultati utili consecutivi da metà novembre a inizio marzo. Striscia interrotta dal Benevento e subito ripresa contro il Pescara in una partita purtroppo iconica. Era il 4 marzo e per l’ultima volta vedemmo i tifosi in uno stadio italiano. L’ultimo boato vero, ma non l’ultima gioia collettiva.

ITALIANO, L’UOMO DEGLI ORIZZONTI

Quelle venute in seguito hanno sempre avuto il corredo di urla da bordocampo di un allenatore promosso per il secondo anno consecutivo. L’anno scorso col Trapani dalla C alla B, in quella Sicilia da cui erano partiti i suoi nonni. Direzione Germania, motivazione lavoro. Là, a Karlsruhe, nacque Vincenzo Italiano nel 1977. Sei anni dopo tornò in Sicilia. A Trapani ha mosso i primi passi di una carriera da calciatore intensa: una vita in B e 104 presenze in A nelle due squadre di Verona. “Nessun limite, solo orizzonti”, scrisse sulla lavagna nel suo primo giorno a Trapani da allenatore. Eccolo qui, in serie A. Chissà se con il suo Spezia o con il Genoa che lo brama da settimane. Non sarà una scelta facile, ma è più semplice prenderla dopo una promozione.

GENTE DI SPEZIA

Ha vinto lo Spezia, ma ha vinto anche la sua gente. Erano in centinaia prima della semifinale di ritorno a spingere la squadra verso la rimonta sul Chievo. C’erano chiaramente anche prima della finale, ancor di più: cori e fumogeni, bandiere e lacrime. C’erano in tanti, purtroppo non tutti. Non c’è più, da inizio febbraio, Carlo Sturlese. Aveva 87 anni, 74 passati allo stadio. È morto il 2 febbraio. Era una domenica. Il giorno prima aveva subito un intervento d’urgenza. Prima di entrare in sala operatoria aveva chiesto cosa stesse facendo il suo Spezia contro il Pordenone. Il figlio Marco gli dette smartphone, occhiali e un ultimo quarto d’ora di felicità. Lo Spezia vinse, Carlo esultò. Lo starà facendo ancora, da un cielo bianco sopra il Golfo, magari abbracciato a Ilaria Franchetti, bambina sconfitta da una malattia nel 2008. Aveva sempre una sciarpa dello Spezia e una bombola d’ossigeno. Poi non bastò più. Sua mamma Tina l’ha ricordata nelle scorse ore in una toccante lettera affidata a cittadellaspezia.com. “Non ha mai perso una partita nemmeno in trasferta insieme ai ragazzi della Curva Ferrovia”, ha scritto. Ora quei ragazzi festeggiano anche gridando il suo nome. Per farlo arrivare più in alto possibile.

GIULIO MAGGIORE, SIMBOLO DI UNA CITTA’

Mai come in questa scalata, c’è il marchio di una squadra. Impossibile trovare un solo volto da copertina senza fare torto agli altri. Ci scusi Emanuel Gyasi, miglior marcatore autore di un campionato strabiliante. Ci scusino tutti gli altri, dal filosofo Mora alla saracinesca Scuffet, a Vignali che salva sulla riga al 95esimo ma la faccia della promozione è quella di un ragazzo di casa. Uno del 1998, cresciuto in quella stessa Curva Ferrovia insieme alla famiglia. Si chiama Giulio Maggiore e sentirete tanto parlare di lui. Andate oltre le cifre, che di lui dicono 34 presenze, 2 gol e 6 assist in questa stagione. Giulio è stato uno dei leader tecnici ed emotivi del gruppo. Crescendo sempre. Il suo gol contro il Chievo in semifinale aveva ribaltato lo svantaggio, l’assist geniale per Gyasi a Frosinone aveva indirizzato la finale. Tutte dimostrazione di maturità, dopo aver già fatto capire chi fosse tre anni fa. Al vero esame di maturità. Nell’estate 2017 rifiutò la chiamata al mondiale under 20 per diplomarsi in tempo.

La cosa stupì tutti, tranne lui. Piede destro e cervello fino, alter ego del suo compagno di reparto Luca Mora, mancino e neolaureato in filosofia all’università di Parma. Titolo della tesi: “Modalità e mondi possibili”, voto 108. Giulio e Luca si abbracciano e si alzano su una balaustra per l’abbraccio con la loro gente. Per Mora è la seconda volta dopo Ferrara, per Giulio è la prima. La prima di una società che da otto anni navigava nelle tranquille acque della B. La permanenza più duratura in categoria. Adesso è tempo di prendere la bussola e uscire dal Golfo. Da lontano, su uno yacht, il patron Volpi ha seguito tutti i playoff. Anche l’ultima scena. I prossimi giorni diranno se resterà al timone o lo cederà. Qualunque sia la scelta, lo Spezia ora è  tra le grandi. Purtroppo, almeno all’inizio, dovrà migrare per giocare la serie A. Forse a Cesena. Forse senza Italiano o forse senza Angelozzi. Nodi da sciogliere. Ma intanto quel nodo alla gola è andato via. E una città ha appena iniziato a suonare il clacson per la sconfitta più dolce della sua storia.

Claudio Giambene

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