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Sorrisi, tatuaggi e la vendetta dell’ex. Alejandro Rodriguez, il Peter Pan di Empoli: “Ma non chiamatela rivincita”

È nato a luglio, in Catalogna. A Terrassa per la precisione. La temperatura lì è soffocante, soprattutto in quel periodo. Oggi l’ha alzata anche al Castellani, sebbene ad Empoli si giri ancora con il giubbotto per affrontare la fine di marzo. Lo ha fatto con una doppietta Alejandro Rodriguez. I gol, quello per cui è nato. Come i quattro fatti alla sua prima partita con il Cesena Primavera, che gli valse la firma del contratto il giorno dopo. Lui, il classico attaccante degli ultimi minuti. Quello a cui gli allenatori si affidano per gli spezzoni finali, quando il punteggio è bloccato e serve la zampata vincente.

37 minuti di media giocati da tre anni a questa parte, solo 112 da quando a gennaio è arrivato a Empoli. Troppo forte la concorrenza: “Ma con Ciccio e Alfredo mi trovo benissimo”. Ci tiene a precisare. E da stasera, probabilmente, gli dovranno anche una cena. Perché accade che Caputo e Donnarumma non girano. Quest’ultimo si fa male, chiede il cambio e lo 0-0 con la Salernitana sembra destinato ad essere il risultato finale. Ma Andreazzoli si gira verso la panchina e indica Alejandro.

La calamita come lo chiamava Di Carlo ai tempi di Cesena, quando segnava un gol ogni 124′. Lui che, solo questa estate, è stato scartato proprio dalla Salernitana, dove era arrivato in prestito dal Chievo. Diciannove le presenze, appena nove da titolare. Quattro le reti messe a segno, che però non gli valgono la conferma. Batosta? Può darsi. Buttarsi giù? Non se ne parla. Rivincita contro Colantuono? Macché. “A Salerno sono stato bene. Anzi, mi sono fermato anche a scherzare con i miei vecchi compagni. Non avevo nessun sassolino da levarmi”. Perché Alejandro è fatto così, vive tutto con leggerezza, con la spensieratezza di un bambino. Non a caso, dopo un gol, imita la postura di Peter Pan. Non a caso voleva fare l’insegnante di educazione fisica, unendo le sue due grandi passioni, lo sport e i ragazzi.

Torero Camomillo, come lo hanno soprannominato i vari magazzinieri. Non si arrabbia mai, nonostante i fischi che i suoi ex tifosi gli dedicano. Nemmeno nel giorno dell’esordio in A. Con la Juventus, nel 2010; entra e, preso dalla foga del momento, tira subito un calcione a Sorensen. Bonucci si arrabbia e gli va addosso. Poi ci pensa il buon Grosso a rimediare a tutto. Occhiolino e scambio di maglia a fine partita, per quello che rimane un giorno indimenticabile. Altro che botte, altro che rissa. Solo gioia, la stessa che ha trasmesso stasera a tutti gli empolesi e ai suoi compagni. L’energia che lo muove e che lo ha spinto a rincorrere il suo sogno. Anche in Germania, dove vola per un provino di tre giorni dopo essere stato costretto a lasciare l’Espanyol.

Meglio il sole di Misano Adriatico, pero. Il calore di un’Italia che, di fatto, diventerà la sua seconda casa. Vola l’Empoli, al suo diciottesimo risultato utile consecutivo e saldo in vetta alla classifica. Verso quel sogno, chiamato Serie A. Come una nave che salpa senza fermarsi mai. Alejandro sul braccio sinistro, oltre al nome della figlia, si è tatuato una bussola e un timone. Simboli di mare, di un marinaio. Oggi, però, ha fatto il comandante, guidando la ciurma alla vittoria. Con la gioia di un bambino, con l’efficacia di un attaccante che sa come si segna, soprattutto negli ultimi minuti. Il Torero Camomillo che vede rosso quando entra in campo. Che, dopo oggi, vede sempre più vicina anche la Serie A, la sua isola che non c’è.

Simone Golia

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