Il teatro è il Ramón Sánchez-Pizjuán. Siviglia e Real Betis gli attori protagonisti del Gran Derbi, in campo per l’atto n.140 nella storia. Una rivalità divenuta, ormai, un classico del campionato spagnolo. Storia e cultura si intrecciano per un incontro che vale più di una semplice partita.
Storia e sport, ancora una volta, dimostrano di poter creare una narrativa davvero singolare e interessante. Facciamo un po’ di ordine. È il 1889, due medici scozzesi si trovano in Andalusia in una zona ricca di giacimenti minerari. In Inghilterra il calcio sta diventando popolare dunque, i medici decidono di fondare una società calcistica (la prima in Spagna) come passatempo per i minatori locali, l’Huelva Recreation Club. Pochi anni più tardi, un gruppo di diplomatici inglesi presenti in città decidono di imitare quanto fatto dall’Huelva. Nasce, così, il Sevilla FC. La politica adottata era particolare: solo i ragazzi con origini aristocratiche possono vestire la maglia rojablanca. Il club sta per ingaggiare uno dei calciatori più promettenti del territorio, ma è figlio di un operaio. È stato concesso uno strappo alla regola? Assolutamente no. Eladio Garcia de la Borbolla, dirigente del Siviglia all’epoca, ha visioni più ampie e inclusive. Fonda, così, il Real Betis Balompié con l’obiettivo di poter accettare tutti, anche i meno abbienti. Due vedute distinte. La miccia che accende il fuoco di una rivalità che ancora oggi vive, tra le vie della città andalusa.
Immaginate di vivere negli anni ’40, senza televisione o cellulari. Gli spagnoli, da poco usciti dalla guerra civile, vivono sotto la dittatura di Francisco Franco. Il calcio, però, non si ferma. Il Betis vive un periodo di crisi economica: il club deve assolutamente vendere. Negli uffici dei biancoverdi suona il telefono: è il Siviglia che fa un’offerta per Francisco Antunéz, il top player del Betis. I tifosi non ci stanno: contestazioni e manifestazioni contro il presidente. La stagione successiva, i biancoverdi retrocedono. Al contrario, il Siviglia vince il campionato merito proprio del calciatore soffiato ai rivali. Nasce, così, il coro che ancora oggi è storia: “Viva el Betis, manque pierda”, “Viva il Betis, nonostante perda”.
Cinque chilometri separano le due case di Siviglia e Real Betis. Dal quartiere di Heliopolis al Distretto Nervion, entrambi alla destra del Canal de Alfonso, affluente del fiume Guadalquivir che spacca in due la città, ma non la passione per il futbol. Ma sapevate che entrambe le squadre avrebbero dovuto condividere lo stesso campo? L’Estadio de la Cartuja era stato indicato dal governo come il miglior compromesso: i tifosi, però, si opposero all’idea.
Diversi i derby che sono stati disputati dal 1915 ad oggi, alcuni davvero indimenticabili. Il primo, terminato 4-3 in favore del Siviglia, in realtà non si è mai concluso. Il motivo? Le due tifoserie hanno invaso il campo, interrompendo così il match a pochi minuti dal termine. Nel corso della stagione 2006/2007, Siviglia e Betis si incontrano in Copa del Rey. In occasione della rete del vantaggio sevillano, l’allenatore Juande Ramos si alza dalla panchina per esultare. Dagli spalti, viene tirata una bottiglia piena d’acqua (e ghiacciata) che prende in pieno l’allenatore. Partita, ovviamente, sospesa. C’è un episodio, però, che ha unito nel dolore e nel ricordo le due tifoserie. Nello stesso anno, dopo la morte in campo per arresto cardiaco del centrocampista del Siviglia Antonio Puerta, al funerale si presentarono anche moltissimi tifosi del Betis in segno di vicinanza e rispetto. Un gesto che ha riconciliato, seppur temporaneamente, le due facce della medaglia di Siviglia.
Il copione, ora, è ancora tutto da scrivere. Siviglia contro Betis. Aristocrazia contro proletariato. L’Andalusia si ferma per una notte, il calcio unisce e divide in due una città che si colora di biancorosso e biancoverde. Todo está listo para el gran derbi.
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