I primi cinque anni della carriera da allenatore di Andriy Shevchenko si sono conclusi sul prato dello Stadio Olimpico di Roma lo scorso 3 luglio. La sconfitta ai quarti di finale della sua Ucraina per 4-0 di fronte all’Inghilterra, poi finalista dell’Europeo, segnava la conclusione di un ciclo alla guida della nazionale del suo Paese.
Al termine della sosta, dopo due settimane durante le quali potrà conoscere e prendere confidenza con i giocatori che non andranno in nazionale, il percorso in panchina dell’ex attaccante ripartirà ancora da Roma. O meglio, dalla Roma, prossimo avversario in Serie A davanti ad un Ferraris che con ogni probabilità sarà fiero del suo nuovo condottiero.
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Fra Sheva e l’Italia è stato amore a prima vista, più di vent’anni fa. Il Milan lo acquistò dalla Dinamo Kiev nel 1999 e San Siro non tardò particolarmente a impazzire per lui. Gol, giocate e potenza fisica e atletica impressionanti per un attaccante che riusciva a colpire sempre nei momenti più importanti, sempre a lasciare graffio decisivo.
Inutile sottolineare che il momento chiave della sua esperienza rossonera, e della sua carriera in generale, sia stato quello sguardo imperscrutabile prima di calciare il rigore decisivo nella finale di Champions League del 2003. Nelle pupille di Sheva non c’era altro che la certezza. In effetti, bastava “solo” accomodare il pallone in rete spiazzando un certo Buffon e il Milan poteva finalmente tornare in cima all’Europa, 9 anni dopo l’ultima volta.
L’esultanza liberatoria dimostrò tutti i sacrifici affrontati per arrivare a quella coppa. Dai consigli e gli allenamenti massacranti del maestro Lobanovskykj in Ucraina fino alle coccole e all’affetto del secondo padre Ancelotti in rossonero.
Proprio per questo Shevchenko è indimenticabile per i tifosi del Milan e gli appassionati di calcio in generale. Da calciatore è stato una macchina da gol in campo e spesso timido e riservato davanti al pubblico e ai microfoni, ma ha sempre reso chiaro il proprio amore incondizionato verso la maglia rossonera. Dopo due anni di Chelsea infatti tornò. Non era lo stesso, ma ci mise il cuore per salutare l’epoca Ancelotti dopo 8 stagioni di successi.
Dodici anni dopo invece potrebbe essere il momento di restituire qualcosa all’Italia, stavolta come allenatore e a 150 km di distanza da San Siro. La nuova proprietà del Genoa vuole affidargli le chiavi del nuovo progetto sportivo, cambiando in corsa. A quel punto starebbe a lui dimostrare che il talento in panchina è degno di quello in campo, dopo gli ottimi risultati alla guida della nazionale ucraina. Per riprendersi ancora l’Italia e la Serie A, seconda casa e unico vero amore.
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