Con Giulini, e soprattutto con la squadra, era stato eloquente: “Un attimo di tempo, ma mi servirete tutti”. Chiaro, facile, pulito: Leonardo Semplici a Cagliari è questo (qui il retroscena del suo arrivo). Anzi, a dirla tutta, Leonardo Semplici è questo in generale. La salvezza con i sardi sembrava un’impresa quasi disperata: ora, con 1,66 punti di media a partita, lo sembra un po’ di meno.
Lavorare con tutti, senza lasciare indietro nessuno: il messaggio dell’allenatore non è mai cambiato. Quasi una promessa che non poteva non mantenere: da Carboni a Zappa, da Pavoletti a Cerri; tutti sono entrati in campo, tutti hanno avuto una loro possibilità. Ha funzionato?
Dodici partite, diciannove gol segnati, diciassette subiti. Nel mezzo, la rinascita di Godin, la fiducia a Vicario e la consapevolezza di essere stato il migliore allenatore per rendimento da subentrato in questa Serie A.
La svolta? Progressiva, ma con un momento decisivo: un patto stretto nello spogliatoio dopo la sconfitta per 2-0 a Verona. Forse, la più dura da digerire. Dopo quella partita, il Cagliari ha perso contro l’Inter, vero. Ma per 1-0, mostrando un carattere che lasciava intravedere qualche segnale di ripresa.
Nelle cinque partite successive, sono arrivate quattro vittorie e un pareggio (difficile, contro il Napoli). Con venti giocatori diversi utilizzati. Fare una rivoluzione era possibile: serviva l’aiuto di tutti. Semplice.
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