“Onestamente, è difficile per me scrivere in questo momento, ma proprio come scrivo nei momenti belli, devo farlo anche nei momenti brutti. È un momento di m***a per me a livello sportivo, e ne sono consapevole” parlava così Saúl Ñíguez qualche settimana fa sul proprio profilo Twitter. Un momento di sconforto, nonostante la qualificazione del suo Atletico Madrid ai quarti di finale di Champions League. Contro il Villarreal, in Liga, il centrocampista è tornato al gol: un raggio di sole in un presente grigio e nuvoloso. Per il bel tempo, c’è bisogno del miglior Saúl.
Saul Goodman, protagonista della serie TV “Better Call Saul”, è lo pseudonimo creato dal gioco di parole “It’s all good man” (“Va tutto bene amico”). Ma nella vita di Saúl Ñíguez non è sempre stato così. “Andava tutto bene in campo, ma fuori avevo molti problemi. Venivo spesso derubato di scarpe e cibo, sono stato anche accusato e punito per cose che in realtà non avevo mai commesso. Nonostante le mie parole, non mi credettero e fui sospeso per due settimane. Ero solo un ragazzino, non potevo convivere con questi problemi”, queste la parole di una triste testimonianza raccontata dal giovane spagnolo ai tempi del vivaio del Real Madrid. Una via di fuga per scappare dai problemi era proprio pensare solamente al campo, lo stesso che gli ha permesso di diventare una delle promesse del calcio internazionale. Saúl vince tutto o quasi, con i club. Ma non basta, manca qualcosa: forse la stabilità e l’equilibrio mentale di una vita che paradossalmente non può essere precaria.
Poi, il prestito in Inghilterra al Chelsea. A livello calcistico i dati parlano chiaro: 1209 minuti e un solo gol, in FA Cup. Lontano da casa e dalle proprie abitudini, ecco dalla vita: Ñíguez diventa papà. Da quel momento, la prospettiva sul mondo è un’altra e l’orizzonte temporale assume un’importanza diversa.
“Accetto tutte le critiche e non solo per il rigore di oggi ma per come mi senta in questo momento. Non so esattamente di cosa si tratti, ma l’unica cosa che mi hanno insegnato è continuare a lavorare nella buona e nella cattiva sorte, finché non riesco a cambiare la situazione”. E per un attimo, qualcosa sembra essere cambiato, merito del gol vittoria segnato all’Estadio de la Cerámica. Precisione chirurgica con il mancino, a due dita dal palo. Poi, l’urlo liberatorio e le braccia al cielo: i compagni lo vanno ad abbracciare. Ñíguez con occhio lucido, fissa il vuoto e rivive ad occhi aperti il periodo complicatissimo vissuto negli ultimi mesi. Angosce e paure tutte racchiuse in quel gol.
“Logicamente quando ti diverti è più facile dare il massimo”. In effetti, basta poco nel calcio. Un pallone, le giuste motivazioni e un contesto per crescere, come calciatore e uomo. E che ti stia accanto anche nei momenti di maggiore difficoltà. È proprio il caso di dirlo: Saúl Ñíguez – il todocampista, come veniva soprannominato ai tempi del Rayo Vallecano – è a casa.
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