I cavalli sono il suo rifugio dai momenti no: “Sono la mia passione, la cosa che mi manca di più quando sono fuori dall’Iran”. Torna a casa e sparisce per giorni: “Arrivo alle sei del mattino e me ne vado la sera, ogni tanto dormo anche vicino alle stalle”.
Il riposo del bomber di Gombad. Dietro il nome c’è di più: “Sardar, colui che è in testa”. Traduzione dal farsi.
Attaccante di movimento, lavora per la squadra e la butta dentro. In patria lo chiamano il 'Messi iraniano', ma in realtà sono due mondi differenti. Numero 7, come i gol segnati con lo Zenit in sole 8 partite tra Europa League e campionato.
Javier Ribalta – ds del club, ex capo scout della Juventus – l’ha preso nel mercato invernale per reinvestire i 50 milioni di Paredes, volato al Psg. Scelta vincente, ora lo Zenit punta il titolo dopo 4 anni d’astinenza (è primo a +6 sulla Lokomotiv Mosca). Soprattutto grazie ai suoi guizzi.
Classe ’95, 24 anni, una vita in Russia tra Kazan e Rostov, dove si mette in luce grazie Kuban Berdyev, il 'Bielsa turkmeno', uno che non concede interviste da dieci anni e parla poco. Stesse origini, stessa lingua, bel calcio e gol.
I due si trovano subito: Azmoun gioca la Champions, punge Atletico Madrid e Bayern Monaco, i taccuini delle big iniziano ad appuntarsi il nome. E in patria lo paragonano ad Ali Daei, stella della Nazionale iraniana (109 reti), la speranza per il futuro.
Strega perfino la Lazio, il ds Tare ha cercato di prenderlo due estati fa, la federazione calcistica iraniana annunciò perfino l’accordo tra i club, ma Azmoun rimase in Russia e l’affare sfumò. Italia sfiorata. Professione bomber, fino ai 12 si dilettava nella pallavolo, lo sport di papà: “Per otto stagioni ha giocato in Nazionale, è stato il miglior pallavolista d’Asia per due anni di fila”.
Sardar scoprì il calcio quasi per caso, un allenatore lo invitò a giocare per una squadra iraniana nata da poco, bastò un gol per convincere tutti: “Fu la scelta giusta, anche se a volte mi manca la pallavolo. Quando torno a casa vado sempre a giocare”.
Dal Rostov alla Nazionale. Con l’Iran segna a raffica – 28 gol in 45 partite – ma in patria non ha mai giocato: “Il Sepahan mi ha trattato male. Non pagavano, ero rimasto indietro con l’affitto e sono tornato a casa”.
Dopo l’ultimo Mondiale ha lasciato la Nazionale per un mese: “Ho ricevuto troppi insulti, la malattia di mia madre si è aggravata”.
L’ultima curiosità riassume tutto: ai tempi del Rostov indossava il 69 in onore del Golestan, la regione in cui è cresciuto, dove le targhe delle auto vengono immatricolate tutte quel numero. Un omaggio alla sua storia e alle sue origini, dall'Iran a San Pietroburgo, Zenit Arena, per sognare il titolo in una notte bianca.
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