A casa Sensi la Roma era nei ricordi di nonno Silvio e nelle parole di papà Franco. La Roma si sedeva a tavola e custodiva i segreti di famiglia. La Roma c’è sempre stata. “Io ho vissuto da sempre con la Roma in casa”. Le parole di Rosella Sensi tradiscono un po’ di commozione: inevitabile dopo una vita in giallorosso. Il pretesto per chiamare l’ex presidente della Roma è la festa della donna, peccato che la ricorrenza non sia delle più amate: “Non la festeggio, anche se ricordo perfettamente il motivo per cui è nata, che è sacrosanto. Non mi ritengo però una minoranza da celebrare”.
Indipendente e intraprendente, un po’ come papà Franco: prima spigoloso e un pizzico scontroso, poi col tempo addolcito dal carico dei ricordi: “Mio padre parlava sempre di calcio e di Roma – racconta Rosella Sensi a Gianlucadimarzio.com – nei ricordi di mio nonno Silvio, nei suoi ricordi. Anche quando era malato, durante gli ultimi giorni di vita il suo pensiero stava sempre lì. Era talmente tifoso che era inevitabile che ne parlasse”. Come un marchio speciale, tramandato per generazioni: “Essere tifosi della Roma per me è una questione di Dna: per noi era una cosa di casa, di famiglia”.
La storia in giallorosso di Rosella inizia a 7 anni, quando papà Franco la porta per la prima volta allo stadio: “E’ stata un’emozione grandissima”. Poi è diventata un’abitudine, ad un patto però: “Portava me e le mie sorelle solo se andavamo bene a scuola”. E’ nato tuto da lì: “Ricordo perfettamente il gol di Turone nell’81, e tanti altri episodi. Ho vissuto lo scudetto dell’83 da giovanissima. Per me è una storia di vita la Roma”.
Scaramanzie, paure, ansie. Gesti da tifosa comune portati con sé anche nella sua esperienza da presidente. Non stupisce quindi se i derby non riusciva a vederli allo stadio: “Troppa emozione e intensità”. Ma c’era anche un altro motivo: “La scaramanzia, anche se non posso rivelare i miei riti”. Un’eccezione però l’ha fatta: “Sono andata solo una volta all’Olimpico per il derby, e abbiamo anche vinto. In panchina c’era Ranieri”.
Il passato che ritorna e un amico che va. Impossibile quindi non fare riferimento al presente: “Di Francesco? E’ una grande persona, lo stimo molto. In questo periodo non l’ho sentito: a Roma è pieno di persone pronte a dispensare consigli. Lui conosce la mia amicizia, la mia stima e il mio affetto. In queste occasioni però è meglio essere lasciati sereni. E’ un uomo molto determinato, serio ed un professionista. E’ stato una grande presenza anche nell’anno dello scudetto: è stato importante a 360 gradi. Ha una grande personalità, anche a dispetto di chi aveva di fronte”.
La parentesi sul presente si chiude qui, poi Rosella torna a ricordare. Riparte dall’avventura da presidente, con gli insegnamenti di papà Franco a guidarla nel nuovo mondo: “Di lui ammiravo la determinazione, il sacrificio, la serietà, la passione”. Consigli? Non troppi, ma di quelli che segnano per sempre: “I valori più importanti della vita, quelli che un padre insegna ai figli: questo è quello che mi ha lasciato”.
Nel cassetto dei ricordi giallorossi, Abel Balbo è il primo giocatore che ricorda di aver conosciuto: “Ricordo la grande soddisfazione di mio padre e la mia grande emozione”. Il giocatore a cui è più legata invece è quasi scontato: “Ovviamente Totti, con lui ho un rapporto ineluttabile, lunghissimo. La prima volta che l’ho conosciuto era in ritiro con Mazzone, era un ragazzino timidissimo. Ma sentivo quello che diceva già mio padre sulle sue capacità, per cui ero ancora più interessata nel vederlo giocare”.
Chissà se quel giorno immaginava che quel ragazzino così timido avrebbe portato la sua Roma al terzo scudetto della sua storia. “Quelli sono stati anni bellissimi, che hanno creato rapporti umani che ancora durano. Il calcio a volte dimostra il peggio di sé, ma c’è anche tanto di bello. Non è tutto così rosa, ma a me piace prendere il bello delle cose”. C’è riuscita anche nel periodo più difficile della sua gestione: “La stagione 2004/05, quando abbiamo cambiato diversi allenatori. In quel periodo è nata però una profonda amicizia con Bruno Conti”.
Pesi giganti da portare sulle spalle, gioie, contestazioni e voglia di rivalsa. Nella storia di Rosella Sensi c’è tutto. Anche lo spazio per un rimpianto: “La cessione di Samuel. Era un ragazzo d’oro: anche infortunato scendeva in campo. Era silenzioso, professionale. Un esempio”. Le contestazioni hanno spesso segnato il suo percorso da presidente, ma l’affetto dei tifosi l’hanno sempre spinta ad andare avanti: “E’ vero, sono stata anche molto contestata, ma i romanisti hanno sempre dimostrato il loro affetto. Recentemente è venuta a mancare mia mamma e la loro vicinanza in quel periodo non è mai mancata, anzi, è stato un grande sostegno”.
Ai soldi ha sempre anteposto l’orgoglio e l’amore per i colori giallorossi, così come aveva fatto prima di lei papà Franco. Ma un’altra famiglia Sensi sarà difficile da ritrovare: “Purtroppo oggi si parla di business. Io non condivido: il calcio non può essere solamente quello. Una famiglia porta quel coinvolgimento giusto per non rendere troppo arido questo sport che di arido non ha nulla”. Per questo la cessione della società fu una scelta dolorosissima: “Ma inevitabile. Perché era gusto che qualcuno potesse
venire a dare qualcosa in più, perché noi avevamo dato tutto e anche più di
tutto”. E la nuova società? “Ho le mie idee, ma non dispenso consigli. Forse a
campionato finito direi cosa penso, ma nel corso della stagione bisogna
lasciare la squadra lavorare in tranquillità”.
Ci lascia con questo auspicio Rosella Sensi, poi chiude la chiamata. Ha una tradizione da portare avanti. E dei ricordi da tramandare alle due figlie: quelli di nonno Silvio e di papà Franco.
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