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Romanista per sempre, ‘Dio’ Totti e quell’addio rimpianto. Bojan racconta la sua Roma: “Volevo rimanere a lungo”

E’ tutto molto intangibile per Bojan. Ogni racconto, ogni esperienza ricade ad un certo punto sulle sensazioni vissute, sulle emozioni che un determinato momento della vita gli ha trasmesso. Troppo importante la parte emotiva per trascurarla, soprattutto in certi momenti. E Roma per Bojan è stato un momento cardine della carriera. L’addio alla “casa” blaugrana, il coraggio di cambiare vita e abitudini, la forza di mollare il massimo che può offrire il calcio per vedere cosa c’è tra i “mortali”. E la prima tappa del lungo girovagare gli ha lasciato forse più di tutte le altre messe assieme: La Roma rimarrà sempre nel mio cuore. Un pezzetto grande del mio cuore è e sarà romanista per sempre. Perchè andare via da casa dopo 12 anni non è stato facile, ma tutti a Roma mi hanno fatto sentire uno di loro. La gente, l’ambiente, i compagni. Giocare con Daniele e Francesco, allo Stadio Olimpico. Sono state emozioni davvero grandi per me. Quell’anno è stato davvero importante e se riguardo adesso le foto di quel periodo ancora mi emoziono”.

Un solo anno in giallorosso, uno dei più difficili. Il cambio di proprietà, la rifondazione tecnica e societaria. Il tutto in una piazza difficile ed esigente: “Quell’anno credo che tutti noi siamo arrivati e non abbiamo capito di cosa aveva bisogno la Roma in quel momento. Arrivi in un posto nuovo devi capire il loro pensiero, il loro modo di giocare. Nella Roma e nel calcio italiano. Noi siamo andati con la volontà di fare il meglio, ma abbiamo sbagliato. Siamo andati male dall’inizio”. Poi a fine stagione l’addio. Non voluto, anzi inatteso. Viste le premesse e quanto Roma lo aveva segnato positivamente: “Io fin dal primo giorno avevo detto che volevo rimanere, volevo crescere a Roma. Ero convinto di fare bene. Soprattutto il secondo anno, dopo l’ambientamento normale per ogni calciatore straniero. Però nel calcio spesso non si fa quello che si vuole. Ci sono tante cose dietro”.


Gli amici mi dicevano guarda che Totti lì è Dio, la persona più importante. E io lo sapevo perfettamente chi erano Francesco e Daniele. Quello che mi rimane è aver imparato da campioni come loro. Sono persone straordinarie, con un grande cuore. E quell’anno lì a me e agli altri ragazzi nuovi ci hanno aiutato in tutto”. Un aiuto che forse lo spagnolo non ha trovato nelle altre piazze. La solitudine, la mancanza degli affetti ha giocato un ruolo importante, ma anche le aspettative. Su di lui erano tante e forse il peso eccessivo per le spalle del giovane ragazzo di Mollerusa: “A me era sempre chiesto di fare l’80, il 90%. Io venivo dal Barcellona, dove avevo vinto tutto. E quindi tutti si aspettano da te quel livello lì. La gente forse si aspettava molto di più di quello che avevo fatto”.


Marco Juric

Aspirante scriba, si avvicina al calcio giocato grazie alla chioma fluente di Giovanni Cervone. Folgorato dalla prima autobiografia di Roy Keane, non si innamora del Manchester United, ma del Nottingham Forest. Dopo i primi trent’anni di osservazione partecipante, ha deciso di passare gli altri trenta che gli rimangono a scriverne.

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