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Ricordi, rimpianti e talento: che fine ha fatto Diego Buonanotte?

Ruta 65, 3 ore di macchina da Teodolina a Buenos Aires. Neanche un’auto. Poi, all’improvviso, tre lapidi lungo il ciglio della via. Sospiri, occhi fissi sulla strada che fanno finta di non vedere. Flashback dolorosi, ricordi di una Peugeot 307 in frantumi. Quei tre nomi riemersi dall’oblio: Alexis, Emanuel, Gerardo. Stramaledetti ricordi.

Alla guida di quell’auto c’era Diego Buonanotte, 28 anni domani. Si salvò per miracolo, ma non sarà mai più lo stesso. Su quelle lapidi, infatti, sono incisi i nomi dei suoi tre migliori amici, scomparsi quella notte insieme al suo talento. Campione affermato? Fenomeno in rampa di lancio? Diego Buonanotte è stato sia l’una che l’altra storia, seppur per poco tempo. Un connubio tra speranza e realtà svanito troppo in fretta e per colpa della sorte (avversa!). Intuibili origini italiane, giocate sublimi, il classico enganche sudamericano dagli acuti imprevedibili. Scontati, poi, i paragoni con l’unico Diego che l’Argentina abbia lodato.

Destino, già. Divenutogli avverso soltanto per una sera ma capace di condizionargli l’intera carriera. Buonanotte esordisce nel River a 17 anni subentrando ad Higuain. E’ il 2007. Passarella lo vede palleggiare coi conetti in allenamento e se ne innamora. Nel 2008 vince il Campionato di Clausura col River (Simeone in panchina), sigla 11 gol, duetta con l’idolo Ortega e vince l’oro olimpico a Pechino con l’Argentina di Messi. E’ una stella in ascesa: alcuni lo paragonano al talento del Barca ma lui risponde schietto: Messi? Soy un cuarto de el’. Attimi di favoloso calcio spalmati in 158cm di fantasia. Purtroppo il resto è storia: l’incidente, il trauma.

‘Perché io?’ Si chiede Diego. Una domanda che continua a tormentarlo. In fondo era in macchina con loro, ma il destino ha scelto di salvare solo lui, l’unico che tra l’altro aveva la cintura allacciata. Tutto finì lì, quel giorno di Santo Stefano. E tanti saluti al talento. El enano torna in campo 4 dopo mesi siglando anche una rete decisiva contro il Godoy Cruz. Ma in Argentina iniziano a chiamarlo asesino, lo incolpano per la morte degli amici, subisce anche un processo. Il ragazzo si chiude in se stesso e ne esce soltanto grazie ad una squadra di psicologici. Nel 2011 cambia aria e sbarca in Europa.

Fallisce anche qui (Malaga e Granda), salvo poi giocare in Messico (Pachuca) e tornare in patria, al Quilmes, dove segna anche contro il River Plate. Ah, il caso, vero Diego? Oggi gioca in Grecia, all’AEK Atene. Sembra essersi ripreso (golazo al Larissa, da vedere e rivedere). Sembra, sì. Solo in parte. Perché quel talento non lo rivedremo più. Buonanotte, come spiegarne l’essenza? Basta un gol, nel 2012 a Granada: el enano prende palla sulla trequarti, salta l’uomo con un numero e beffa il portiere sul suo palo, col quel sinistro che ne ha scandito i fugaci attimi. Ciò che è stato e ciò che è si ricongiungono. Lui leva la maglia, alza il braccio sinistro e lo bacia. I nomi dei suoi amici sono lì a vegliare su di lui. Maledetti e rimpianti. Scritti su pietra lungo la Ruta 65. Per sempre.