“Riccardo, scaldati”. Emozione, tanta. Incredulità, altrettanta. “Ma come, io?”. La reazione di Riccardo Sottil è stata più o meno questa. Mancano dieci minuti alla fine, la Fiorentina sta pareggiando 1-1 con la Sampdoria. Sta soffrendo dopo un primo tempo quasi dominato. “Adesso mette un difensore” Il pensiero di molti. Pioli si gira verso la panchina e chiama Sottil. Non Andrea. Quello è il papà e faceva il difensore appunto. A Riccardo, invece, le difese piace batterle, ama le finte, i dribbling. I gol, proprio come Federico Chiesa, che a Marassi gli lascia il posto. Un figlio d’arte per… un altro figlio d’arte, che fa così il suo esordio in Serie A. Con la squadra che fu di suo babbo, nello stadio dove Andrea giocò 13 anni prima con il Genoa.
Il riscaldamento dura molto poco. Di fatto Riccardo si toglie la pettorina senza nemmeno accorgersene. Dieci minuti a disposizione, come domenica all’Olimpico contro la Lazio. A lasciargli il posto, a questo giro, è Pjaca. Giovanissimo, ma già vice-campione del mondo e con un cartellino che vale fior fiori di milioni. Una sostituzione che, probabilmente, avrebbe fatto fatica ad immaginare qualche mese fa. Il prestito sembrava il suo destino. Lo volevano in tanti, a partire dal Sassuolo di De Zerbi: “No, rimango e convinco Pioli” La sua risposta a tutte le offerte.
“Ogni giorno con lui è una barzelletta” Assicura chi lo conosce. Un’estate con il telefono in mano fra un bagno e l’altro, in attesa di scoprire il proprio futuro. Che lo proietta a Moena, dove la Fiorentina svolge il ritiro estivo da ormai sette anni. Pezzella lo riempie di consigli, Pioli gli inculca l’arte della difesa. Di giorno suda, di notte condivide la stanza con Gori e Montiel, altri due talenti della cantera viola. Poi il “Riccardo, scaldati” di Genova e Roma.
Lui, da solo con la maglia numero 21. L’ha scelta perché la somma delle cifre fra tre, come la sua data di nascita. 3 giugno 1999, Torino. La città dove tutto è cominciato. E dove è tornato dopo aver seguito il padre in lungo e largo. Da Reggio Calabria ad Alessandria. La routine quotidiana è sempre la solita: sveglia presto, papà che lo porta con lui agli allenamenti, ritorno a casa e feroce partitella con uno Shih Tzu al quale mette le maglie collezionate da Andrea. E’ nato con il pallone in mano Riccardo. A 5 anni era già in campo, poi un torneo nella sua Torino con il San Pio e la Juve che lo nota.
Lui, milanista da sempre. Pato ed El Shaarawy gli idoli, sostituiti adesso da Cristiano Ronaldo e Neymar. Giocatori di fascia, gamba e fantasia, proprio come lui. Che dalla Juve decide di passare al Torino. Gol sempre tanti, ma nello spogliatoio e non solo si rompe qualcosa. Lo etichettano come una testa calda, lui fa le valigie e preferisce la Fiorentina all’Atalanta. Negli Allievi è inarrestabile, tanto che Mister Federico Guidi non perde tempo e lo convoca subito con i grandi della Primavera. Crede tanto nel ragazzo, ma Riccardo non lo ripaga. E’ forte, ma si adagia. E se negli Allievi bastava per fare la differenza, in Primavera funziona diversamente.
E’ egoista con la palla fra i piedi, totalmente assente in fase di non possesso. Così non si diventa grandi. Glielo dice spesso Guidi. Usa tanto bastone e poca carota. Riccardo si chiude in se stesso e non sboccia. Federico è sconsolato, ha un diamante grezzo fra le mani. Non si arrende, parla con vari mental coach e cambia strategia. Inizia con un colloquio a quattr’occhi. Un confronto durato mezz’ora, in cui i due finalmente si capiscono. Continua con sedute video e ‘lezioni’ personalizzate. Di lì in poi Riccardo non si ferma più. Farà 15 gol e giocherà le finali Scudetto da protagonista. Se gli chiedete quale sia stato, fin qui, l’allenatore più importante per la sua carriera, Sottil jr risponderà sempre e solo Federico Guidi. Uno dei primi al quale ha scritto uscendo dallo spogliatoio di Marassi. Con il suo sorriso e il rap sparato a mille nelle orecchie. Con i sacrifici fatti ancora freschi nella mente e un sogno davanti agli occhi: segnare sotto la Fiesole.
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