Categories: Interviste e Storie

“Un cane, la spiaggia e il Boca”, la storia di Mateo Retegui

Un vecchio taccuino e un incontro casuale in una spiaggia argentina. La storia di Retegui è iniziata più o meno così. Estate 2016, Diego Mazzilli, al tempo osservatore del Boca Juniors, è davanti al mare di Pinamar: “Al papà di Mateo scappò il cane e arrivò da me”. El Chapa, soprannome di Carlos Jose Retegui, corre a scusarsi. “Figurati, nessun problema. Ma tuo figlio come sta? Come mai ha smesso di giocare?”, la risposta di Mazzilli. “Rimase sorpreso da quante cose sapessi su Mateo, non capiva”. “Sono un osservatore del Boca, mi sono segnato il suo nome nel 2010”. La maglia era quella del River. La indosserà per 4 anni, poi la scelta di dire addio al calcio. Anzi, un arrivederci. Tutto grazie al suo cane e a un osservatore. Una settimana di prova e pochi dubbi: Retegui entra nel settore giovanile del Boca. Poi ci saranno l’hockey, un cambio di ruolo e l’Italia. “Non ha limiti, può solo crescere”. 

 

“Aveva scelto l’hockey”

Ci sono quei momenti nella storia di un giocatore che segnano un prima e un poi. Sliding doors. Negli anni argentini di Mateo Retegui ce ne sono state due. Il primo legato a quell’incontro sulla spiaggia. Il secondo alla scelta tra il calcio e l’hockey, lo sport di famiglia.

 

 

Il papà Carlos è l’ex ct della nazionale che ha vinto la medaglia d’oro alle Olimpiadi di Rio 2016 e il mondiale 2010 con la nazionale femminile, la sorella Micaela ha vinto l’argento alle Olimpiadi estive 2020. “Quando è arrivato al Boca per diverse settimane andò avanti a praticare entrambi gli sport”. Arriva la convocazione per un torneo in Canada con la squadra di hockey: “Il padre mi chiamò dicendomi che Mateo avrebbe lasciato il calcio e sarebbe passato a salutarmi”. “Grazie Diego per quello che hai fatto per me”. “Gli parlai, dicendogli semplicemente quello che mi veniva dal cuore”. Parole che lo segnano nel profondo: “Cambiò la sua decisione”. Addio hockey, si pensa al calcio. “Da quel momento non si è più fermato”

 

Due scarpini bianchi e l’Europa

Dicembre 2010, torneo Amistad de Oro nella città di Brickmann. “Giocava nel River, appena l’ho visto giocare volevo sapere chi fosse. Mandai un nostro giocatore a chiedergli il nome”. “Mi impressionò per la sua forza fisica e la tecnica. Però al tempo giocava a centrocampo, al Boca lo spostammo in attacco”. Due scarpini bianchi e un ritorno al calcio: “Ambizioso fin da subito, voleva arrivare in prima squadra e conquistarsi l’Europa”. In meno di un anno Guillermo Barros Schelotto lo chiama in prima squadra: “Lo convocò per un’amichevole. Segnò due gol alla Bombonera”. Il viaggio è proseguito arrivando in Italia. Il suo presente si divide tra i gol a Bergamo e con la maglia azzurra. Grazie a un taccuino, un osservatore e un cane. 

 

 

Nicolò Franceschin

Nato nel 1997 tra Milano, Como e Lecco. Laureato in Giurisprudenza, ma ai codici ho preferito una penna. Cresciuto con Maradona (il calcio), ma anche Ronaldinho e Sneijder. Il fascino del numero 10. Credo nella forza delle parole. Verità e narrazione. In giro in macchina per stadi, campi e strade alla ricerca di nuovi colori da scrivere, perché ognuno ha una sua sfumatura. Le note del telefono che si riempiono di storie, alcune il cui finale è ancora tutto da scrivere. Una di queste è la mia. Raccontare emozioni e dare voce a chi non ce l’ha.

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