“Noventa minuti en el Bernabéu son molto longhi”. La frase è celebre, tanto da diventare quasi stucchevole. La disse Juanito, avvicinandosi ad uno dei giocatori dell’Inter, dopo aver perso l’andata di semifinali di Coppa Uefa dell’86. 2-0 era finita all’andata, 3-0 finì al ritorno. Come volevasi dimostrare: la partita di solito finisce quando fischia l’arbitro, ma quella da dentro o fuori quando lo decide il Real Madrid.
È la storia a dirlo, non c’è molto da spiegare. “Questo club non ti permette di darti mai per vinto”, analizza Ancelotti dopo l’ennesima rimonta europea, di questa stagione e della vita del Madrid. Questo 3-1 al Manchester City che i giornali spagnoli hanno già bollato come “la notte più grande del Bernabéu”, così grande che Marca si rifiuta di commentarla e apre in prima chiedendo “Che scenda Dio a spiegarla”. La mistica, la doppietta di Rodrygo a partita finita, il millesimo gol di Benzema, tutto.
Quest’anno era già arrivato il ribaltone al Paris Saint-Germain (0-1 all’andata, 3-1 al ritorno) a fortificare il mito del Real Madrid che non si arrende mai, specialmente nelle grandi notti europee. Ma la leggenda parte da lontano.
I giovanissimi non conosceranno quella del 1975/76 con il Derby County. Un’altra squadra britannica, un passivo ancora peggiore di quello del City. Si partiva dal 4-1 in trasferta. Mai il Real aveva rimontato uno svantaggio di tre gol, prima di quella notte del 5 novembre. Il ritorno finì con un 5-1 al Bernabéu, con gol di Roberto Martínez, Santillana (due), George e Pirri.
Negli anni ’80 le vittime sacrificali della mistica madridista sono Stella Rossa e Bayern Monaco. Con i primi, rimontò dal 2-4 al 2-0 del ritorno nel 1987. Con i secondi, la rincorsa cominciò a fine primo tempo dell’andata. Dallo 0-3 della prima frazione, a Monaco finì 2-3 con gol di Butragueño e Hugo Sánchez negli ultimi minuti della gara. Al ritorno, furono le reti di Gordillo e Míchel a certificare il passaggio alla semifinale della Coppa dei Campioni del 1988.
Più congeniale ai ragazzi, e soprattutto a Carlo Ancelotti, la rimonta che piazzò la décima Coppa dei Campioni nelle teche del club (2013/2014). Non è inusuale trovare qualche madridista con il numero 92’ e 48’’ tatuato: è il minuto in cui Sergio Ramos segna il gol con cui manda ai supplementari la finale di Lisbona contro l’Atlético Madrid. Bale, Marcelo e Cristiano penseranno al resto.
La décima era un’ossessione per i madridisti, non solo per la cifra tonda ma anche perché l’ultima Champions League era arrivata ben undici anni prima. Un’attesa imperdonabile per la squadra che può solo vincere. In quel 2002 che portò la novena il Real rimonta ai quarti un gigante come il Bayern, vittorioso per 2-1 in casa ma rimontato da Helguera e Guti in trasferta.
Quel giorno c’era Zidane in campo, mentre nel 2015 sedeva già in panchina. Per vincere la sua prima Coppa dei Campioni, l’undicesima della storia del club (nella finale di Milano contro l’Atlético). Tutto passa dalla rimonta sul Wolfsburg. Dopo il 2-0 all’andata, ci pensò Cristiano Ronaldo (come spesso è capitato) a rimettere le cose in ordine con una tripletta. La formazione era: Keylor Navas; Carvajal, Pepe, Ramos, Marcelo; Modric, Casemiro, Kroos; Bale, Benzema y Cristiano. Una squadra d’epoca, che dominerà il Continente negli anni a seguire.
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