Julio Velazquez pensa al calcio anche “quand’è in vacanza. Perfino mentre passeggia in riva al mare con sua moglie, parole sue: “Non riesco a smettere di pensare agli allenamenti, alla tattica, agli avversari”. Stacca poco, si applica molto, pretende ancora di più, tant’è che il suo primo “ordine” da coach dell’Udinese è stato il seguente: “Tutti i giocatori devono sapere l’italiano, almeno i termini calcistici”. Piccolo particolare: l’Udinese è una squadra con 17 nazionalità in rosa e almeno 6 lingue nello spogliatoio, difficile farsi capire. Ma Velazquez – che aveva già studiato l’italiano prima di firmare – ha “assoldato” Giorgio Alafogiannis, professore ad hoc, per facilitare la comunicazione tra i giocatori. Mentalità e programmi, tutti a lezione (di italiano).
Maniacale come Sacchi, suo idolo da sempre, ammiratore di Sarri e Giampaolo, calmo e discreto come Zoff. Velazquez si definisce una persona “equilibrata”. Calcisticamente, invece, concepisce il calcio “come qualcosa di puramente estetico”. Vuole che i tifosi “si identifichino con la squadra”. Tradotto: ama le grandi sfide. Un paio di esempi. Per due anni ha allenato l’Alcorcon in B spagnola, raggiungendo due salvezze e un quarto di finale in Coppa del Re nel 2017. Il tutto con un budget ridotto, appena 100mila investiti, una sfilza di prestiti gratuiti e un impianto di soli 5mila posti. Sfida stravinta.
Non la sola però, perché nel 2014 – con il Real Murcia – è riuscito a centrare un miracoloso quarto posto in Serie B. Lui stesso spiega perché: “Avevamo il budget più basso di tutta la categoria, siamo arrivati a 4 punti dalla promozione. La città era completamente a terra, ma è tornata a sorridere”. Almeno per un po’. Dopo i playoff il Real Murcia è fallito per problemi economici, ma a Velazquez è rimasto nel cuore, tant’è che se gli chiedono quali sono le sue squadre preferite lui risponderà con Murcia e Villarreal, allenato ai tempi del Campione del Mondo Marcos Senna (di 5 anni più grande di lui…).
Fallisce al Real Betis, rinasce al Belenenses, dove prende la squadra in zona retrocessione e riesce a salvarla con facilità. Se ne va a fine stagione, un po’ a sorpresa e con l’amaro in bocca, a causa di divergenze con la società (lui mise fuori rosa Sturgeon, il club lo reinserì minandone l’autorità). Da lì, studia calcio e si guarda intorno. Europa, Sud America, MLS. Prima l’Alcorcon in B e adesso l’Udinese, pronto a farsi conoscere anche da noi.
Velazquez ha 36 anni, è stato l’allenatore più giovane di tutta la seconda divisione spagnola e il primo nato dopo il 1980 ad avere una panchina in Serie A, ma non ama i social. “No” secco a Instagram e Facebook, mentre non “cinguetta” più dal 2014. Strano e curioso, i primi aggettivi con cui è stato accolto in Italia. Il cognome di un pittore, mai un’esperienza al top, gli inizi in panchina a 15 anni per “vocazione”. Si sapeva poco, ora un po’ di più.
Due gare in Serie A, prima un pari in rimonta contro il Parma e infine una vittoria contro la Samp, frutto di bel gioco e buone idee. Anche innovazioni. Il suo vice ha comunicato via radio col match analyst durante l’ultima partita, da quest’anno si può fare. Parola chiave: outsider.
Ama stupire partendo dal basso, col suo 4-2-3-1 di equilibrio e fantasia. Fofana-Mandragora lì dietro, legna e qualità, De Paul sulla trequarti e gli scatti di Lasagna. Occhio a Machis, talentino del ’93 che ha scelto sull’Udinese proprio grazie a Velazquez. Legge, studia e si informa. I Pozzo l’hanno preso per “tornare alle origini” del progetto, giovani in campo e adesso anche in panchina. Per ora va bene così, sorpresa riuscita. I giocatori lo seguono, lui lavora in silenzio come ha sempre fatto, dribblando le critiche e lo scetticismo dalla sua casa con giardino. Tranquillo e rilassato, senza mai staccare. Neanche in riva mare.
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