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Nel mondo del Qatar, dal problema delle naturalizzazioni ai segreti dell’Aspire

Che Mondiale sarà? E soprattutto  come sarà la squadra del Qatar, nazione ospitante? Questi sono i dubbi che stanno assalendo tutti in questi giorni. D’altronde quando ci si affaccia su un qualcosa di nuovo è lecito porsi delle domande. In particolare se si parla di una nazionale di cui si sa poco o nulla e che al momento dell’assegnazione del Mondiale, dodici anni fa, occupava il 131^ posto nel ranking Fifa. Oggi sono 52esimi. Proviamo quindi a scoprirlo insieme, facendo luce e cercando di vederci un po’ più chiaro. Il viaggio nel mondo del Qatar del pallone può cominciare. 

 

 

Punto primo. Alzi la mano chi, nel 2022, non possiede un doppio passaporto. Se il quesito venisse posto in Qatar, soprattutto nel mondo dello sport, si vedrebbero solo mani alzate: lo hanno praticamente tutti. E se da una parte, è vero che in un mondo sempre più globalizzato sta diventando prassi, dall’altra bisognerebbe controllare le naturalizzazioni e regolamentarle. Da quelle parti le norme su questo punto sono ancora poche. La nazionale di Felix Sanchez è composta da molti giocatori stranieri, dal centrocampista Karim Boudiaf, francese, al miglior marcatore della storia, Almoez Ali, nato in Sudan. Nelle ultime convocazioni per le qualificazioni ai Mondiali del 2018, ben 16 giocatori su 28 erano stranieri naturalizzati. Dato di fatto. 

 

 

Un altro esempio eclatante di questo fenomeno risale ai Mondiali di Pallamano, giocati a Doha nel 2015, in cui la nazionale qatariota è arrivata seconda, perdendo 25-22 in finale contro la Francia. Come ci è riuscita? Nessuna grande tradizione nazionale. Il segreto è stato convincere i migliori giocatori a rappresentare il Qatar in cambio di soldi. Tanti soldi. Era stato stabilito un premio partita di 1 milione a persona per ogni incontro vinto. Questo il modus operandi del paese, tra i più ricchi al mondo, che vanta una bilancia commerciale sui generis: esporta petrolio e importa campioni. Dalla pallamano, all’atletica fino al Ping Pong. Poco importa la disciplina, l’importante è primeggiare. 

 

 

In Qatar lo sport è usato come strumento per imporsi a livello geopolitico. Il paese ospiterà i Mondiali e subito dopo la coppa d’Asia, affermando il protagonismo dei paesi del Golfo, e soprattutto l’Islam politico, rappresentato proprio dall’emirato. Calcio, politica e propaganda, un fil rouge che trova le sue radici più antiche nell’antropologia e nella Storia dell’Umanità. Nulla di nuovo. 

 

Nel calcio però non è così semplice. Non lo è il discorso del comprare i migliori atleti per primeggiare e non è facile creare una squadra competitiva. Già, perché la nazionale del Qatar è ancora anni luce indietro rispetto alle grandi, candidate per la vittoria della competizione, e ha ancora tantissima strada da fare. Tuttavia è particolare il modo in cui vengono selezionati i giocatori. La risposta si chiama Aspire Academy, fondata nel 2004, così ragazzi provenienti da tutto il mondo vengono scelti, analizzati, valutati. Il progetto in origine era chiamato Football Dream e già il nome racconta molto. Una fabbrica del talento ai confini del pallone. 

 

 

 

Il lavoro della Aspire Academy è enorme: visiona e recluta giovani di 13 anni in tre continenti e 18 Paesi. Sono stati valutati circa 4 milioni di ragazzi in totale. In realtà si occupa di vari sport, ma il calcio è senza dubbio il fiore all’occhiello. A volerla fu, nel 2004, l’Emiro al Thani, proprietario del Paris Saint Germain. All’inaugurazione c’erano Pelè, Maradona e Michael Jordan, roba da film. Inizialmente la gestione era stata affidata a una società francese poi l’hanno presa in mano, per anni, Andreas Bleicher, già nel comitato olimpico tedesco, e Josep Colomer, ex scout del Barcellona per più di dodici anni  Anche il c.t. della nazionale è Catalano, Felix Sanchez, e per un decennio è stato alla guida dell’under 16 blaugrana. Masia come scuola e modello. Un altro spagnolo è il responsabile tecnico di Aspire, Edorta Murua, una vita all’Athletic. 

 

 

L’iter di selezione dei ragazzi è sempre lo stesso, preciso come un orologio svizzero. Vengono valutati tramite vari livelli di provini, partitelle e test, poi i migliori passano per Doha, sede dell’Aspire Academy, oppure per Dakar. Il punto di arrivo è Eupen, dove c’è un’altra squadra di proprietà dello sceicco. Laboratorio in cui il Qatar costruisce il suo futuro calcistico. Perché proprio il Belgio? “Serviva una federazione nazionale che permettesse di giocare al più alto numero possibile di extracomunitari. Qui basta mettere nella lista di titolari e riserve sei belgi. L’ideale per inserire fino a 12 giocatori dell’Academy. Non vogliamo che l’Eupen vinca la Champions League, a noi interessa costituire il trampolino di lancio per i nostri giocatori verso una carriera di alto livello. Vogliamo diventare il miglior vivaio del mondo”. Parola del direttore generale Christoph Henkel. Tanti giocatori che oggi fanno parte della nazionale vengono da lì. E sanno che l’Academy li ha tolti dalla periferia del mondo e gli ha regalato la chance della loro vita. In alcuni casi ha funzionato e oggi si ritroveranno in campo contro Messi e Neymar, senza dimenticare da dove sono partiti. Per loro il Mondiale conta di più. 

Lorenzo Cascini

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