“Vincenzo Italiano? Un allenatore in campo”. Dicevano. Perché da giocatore era un valore aggiunto, in personalità, carisma, ma soprattutto testa: andava semplicemente più veloce di tanti altri. Capiva prima. Stop. Adesso che Italiano allena davvero però, “è tutta un’altra storia…”. Meno romantica, più intensa e passionale. “Da allenatore non stacchi mai. Finisci un allenamento e pensi già a quello dopo, a come migliorare, a che esercizi fare, pensi al ragazzo giù di morale”. Esperienza totalizzante. “È un ruolo completamente diverso, ne sono consapevole, per questo è necessario sapersi mettere in discussione e continuare ad aggiornarsi, a imparare, ad approfondire. Il calcio è in continua evoluzione, la capacità di lettura e di adattamento alle situazioni – dentro e fuori dal campo – è fondamentale per competere ad alti livelli”. Il segreto è solo uno per lui: “Il calcio è sempre stato la mia vita e fin da ragazzino, quando ho fatto la valigia dalla Sicilia per andare al Verona, il mio unico pensiero è sempre stato quello: far diventare la mia grande passione un lavoro. Ci sono riuscito da calciatore, ora voglio ripetermi da allenatore”.
A lezioni di Italiano. Che poi Vincenzo è nato in Germania, a Karlsruhe.“Nessuna lezione, ogni allenatore ha il suo modus operandi” puntualizza Vincenzo, uno che fa sempre di testa sua e non dimentica chi gli ha insegnato tanto, da calciatore. “Nella mia carriera da calciatore ho avuto molti allenatori, da tutti ho imparato qualcosa, nessuno escluso. Ricordi indelebili mi legano a Prandelli, Malesani, Delneri e Iachini. Le vittorie, le sconfitte, le promozioni, le retrocessioni. Da ciascuno di loro ho saputo cogliere un insegnamento, un dettaglio, un’idea che hanno contribuito a costruire il mio modo di essere un allenatore”. Parte uno: partecipare attivamente all’allenamento. “Io lo faccio, sempre. Alza la tensione, la concentrazione, i ragazzi recepiscono più velocemente. Però non so quanto durerò fisicamente….”. Quarant’anni e non sentirli. La parte due è meno faticosa ma decisamente più incisiva: la forza delle idee. “Molti pensano che la differenza tra un allenatore e l’altro stia nel modulo o negli schemi, nella capacità di imporre, insegnare, gestire. La realtà è che un bravo allenatore deve saper proporre, condividere e coinvolgere. C’è una grande differenza, che sta nella capacità di trasmettere le proprie idee, la propria visione di calcio e saper tirare fuori il meglio da ogni singolo calciatore. Non è facile, ma far migliorare i singoli è l’unico modo sostenibile per far crescere la squadra e il gruppo. I risultati sono una diretta conseguenza della disponibilità dei giocatori a condividere la stessa idea di calcio e a proporla applicando dei principi di gioco nei quali loro stessi si sentono partecipi e coinvolti. E oggi con i miei ragazzi cerco innanzitutto cerco di essere un uomo che con idee ed esperienza possa contribuire alla loro crescita individuale e collettiva, dentro e fuori dal campo. La principale gratificazione è vedere la dedizione e l’attenzione con cui mi seguono, mi ascoltano e si applicano. Il risultato del campo è la logica conseguenza di un percorso di crescita di ciascun singolo che dà il suo contributo al gruppo”. Di modelli ne ha due, Vincenzo: “Se una squadra si diverte, si esprime con armonia e spirito di gruppo è perché alla base c’è un lavoro di condivisione e coinvolgimento che crea un collante molto forte. Sotto questo aspetto Guardiola e Sarri sono due modelli da studiare, ai quali spesso faccio riferimento nel mio lavoro quotidiano”.
Un salto nel passato: Italiano con gli occhi del giocatore. “Ho avuto la fortuna di misurami con giocatori veri, campioni assoluti: Zidane, Baggio, Ronaldo, Del Piero, Totti… già dal sottopassaggio annusavi il loro carisma, mi vengono ancora i brividi”. Per ogni ricordo, una maglia! “Ho quasi tutte le maglie delle squadre che ho affrontato! E’ una collezione a cui tengo molto, ogni tanto me le riguardo perché da piccolino ero nato con il sogno di diventare calciatore”. E che bel calciatore che era, Vincenzo Italiano. “Ti voleva l’Inter, non è vero?”. “Sì! Stagione 98/99, faccio molto bene con il Verona, in B. Vinciamo anche il campionato, il tutto con un giovanissimo Prandelli allenatore. L’Inter mi segue per due mesi circa, mi viene a vedere e tutto e poi…”. Poi? “In un allenamento del giovedì mi rompo il crociato”. Da un ‘peccato’ a un altro. Stagione 2001/2002, in quel Verona di Malesani c’era anche Italiano. “Mutu, Gila, Camoranesi, Oddo…. abbiamo giocato i primi sei mesi a mille, divertendoci tantissimo. La seconda parte di stagione si è trasformata in un incubo, forse in uno dei momenti peggiori della mia carriera”. Retrocessione e tantissima amarezza. “Ancora oggi, tra noi compagni di squadra, ci chiediamo come sia stato possibile”. Passato. Ora Vincenzo guarda avanti, non perde tempo e pensa al prossimo allenamento del suo ArzignanoChiampo, Serie D. “Vogliamo restare lì in alto”. Ambizioso. Un allenatore che vuole dimostrare in campo.
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