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Preso a un milione al fantacalcio, un affarone: nessuno prenderà il posto di Astori in formazione

Fino all’anno scorso non ero un grande esperto di fantacalcio. Provavo quasi vergogna a rivelarlo in pubblico, come se fosse un segreto inconfessabile. Fino allo scorso agosto. “Che diamine, sono un malato di calcio, dovrò pur provare una buona volta”, mi sono detto. E allora, via. Pagina della Gazzetta, blocchetto di fogli bianchi e una penna. Tutto pronto, come solenne procedura vuole. E, come ogni fantagiocatore che si rispetti, sono arrivato all’asta di fine mese ben preparato. Le crocette, gli appunti, le linee, i pensieri e le preferenze. Una lista lunga, che racchiudeva in sé l’intrinseca paura di non riuscire a prendere i più forti. O i miei preferiti.

Nella lista c’era anche lui. Difensore, tra i primi della lista. La A di Astori. Di Astori Davide. Penso: “Centrale della Fiorentina, titolare fisso, capitano, lotterà per l’Europa, e i suoi gol li ha sempre fatti”. E poi: “Piedi buoni, classe, eleganza, pochi cartellini. E’ il giocatore perfetto per me”. E non solo per me, mi ripetevo. Porca miseria, lo vorranno tutti. Era uno dei pochi difensori per i quali erano disposto a spendere qualche fantamilione in più. Lo volevo mettere al centro della mia difesa, il perno del mio foglio, della mia formazione. Ogni domenica.

Preso a 1. Un affarone. Ancora adesso, il più grande orgoglio della mia breve carriera da fantallenatore. Ed è un dettaglio il mio ultimo posto in classifica. D’altronde, si deve pur partire dal basso e dalle legnate. Ma sono sempre stato contento di molte scelte. Kolarov, Cristante, Bonaventura. E Astori. Alla prima giornata del fantacalcio vinco grazie a te, a un tuo gol, in quel 5-0 di Verona. Nemmeno a dirlo, non ti ho più messo in panchina.

Prima di quella maledetta domenica hai fatto in tempo a regalarmi un’altra vittoria, grazie a quell’assist per Biraghi contro il Chievo. Un +1 decisivo. Un tocco d’esterno mancino di pura classe, proprio come te. E ora le immagini di quella esultanza rimbalzano ovunque, a mostrarti felice, mentre io sono qui, con un vuoto dentro lancinante, a piangere da quel 4 marzo che non potrò mai più dimenticare.

Me l’hanno detto mentre aspettavo di poter votare, non volevo crederci. Sono tornato a casa con il cuore che già mi urlava dolore, mentre a stento trattenevo le lacrime. Me la sono presa con i giornalisti che alla tv confermavano le mie paure. E mi sono abbandonato al pianto. Ti ho visto ogni domenica, mi sono affezionato a te, al tuo modo di difendere e di amare il calcio, di parlare e di sorridere a tutti, delicato e rispettoso. Per me sei sempre stato il difensore esemplare, completo, di quelli che oggi se ne contano sempre meno. Quelli del calcio di una volta, ma che non passano mai di moda. E che tutti applaudono sempre come se fosse la prima volta.

Piango da giorni, senza trovare risposte, sommerso dai perché. L’affetto che tutto il mondo del calcio ti ha dato non ha curato una ferita profonda solo come la mia ammirazione per te. Credevo di poter affrontare la morte in maniera diversa, anche perché in fondo non ci conoscevamo di persona. Da anni, però, sei diventato parte della mia casa, della mia passione. E solo in questi giorni mi accorgo di quanto questo gioco possa essere potente. Capace di riunirci, di creare un unico grande abbraccio, ricordi comuni e immortali. Non ho mai potuto stringerti la mano, chiederti un autografo o scattare una foto insieme a te. Ma ti volevo bene, Davide. Sei entrato nella mia casa con amore, e qui con me resterai per sempre. Il tuo posto in formazione non te lo toglierà mai nessuno.

Marco Macca

Redazione

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