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Porto, Rui Barros: “La Juve ha pochi punti deboli, è fra le grandi d’Europa. Boniperti? Mi accolse con un barbiere”

Porto-Juventus, il countodown va avanti. L’andata degli ottavi di finale di Champions League si avvicina, e dall’una e dall’altra parte ci si sta preparando al meglio a uno degli appuntamenti più importanti della stagione. Ma c’è anche chi, nel Porto, respira nei ricordi ancora aria bianconera: è Rui Barros, assistente di Nuno, che a Torino giocò per due stagioni dal 1988 al 1990. Non sarà, per lui, una sfida come le altre. Parlando di Juventus, a Rui Barros, intervistato dal Corriere della Sera, viene in mente subito un aneddoto: “Avevo appena firmato il contratto con la Juve. Tutto era sistemato. Il presidente Boniperti mi disse che nel club c’erano delle regole e una disciplina ben precise: io non parlavo molto bene italiano e faticavo a capire. Lui me lo spiegò meglio, facendo il gesto della forbice sui capelli: dietro la porta c’era già un barbiere per me, prima della presentazione alla stampa. Ne approfittai e alla fine grazie alla Juve ero anche più bello di prima…”.

A differenza di molti, Barros non crede che la Juventus sia favorita: “Il nostro obiettivo è di andare più lontano possibile e le chance di passare il turno sono 50 e 50. Abbiamo già esperienza a questi livelli: adesso conta solo il campo e non ci sono favoriti. Sarà una doppia sfida intensa. La Juve è tra le quattro più forti d’Europa, è tornata la Vecchia Signora che conoscevo io: una squadra fantastica, all’altezza della sua grande storia. Punti deboli? Non molti. L’abbiamo studiata a fondo in questi due mesi: è completa, con venti giocatori forti. Al Dragao sarà importante vincere e se possibile non subire gol. Sappiamo che sarà dura, ma non è una missione impossibile. Abbiamo fiducia, lotteremo alla pari e faremo di tutto per passare il turno”.

Il racconto di Rui Barros torna ancora una volta ai ricordi italiani tinti di bianconero: “In Italia ho imparato rigore, concentrazione, la serietà del lavoro quotidiano. Al Porto la mentalità non era diversa, ma alla Juve gli allenamenti atletici erano molto più esigenti. In partita poi ti rendevi conto quanto fosse importante quella fatica. Ero un po’ spaventato, avevo solo 22 anni e per me era la prima volta all’estero, in una squadra molto forte. Ma presto sono stato travolto dall’affetto dei tifosi. Poi ricordo il rumore dell’elicottero, che spesso precedeva l’incontro con l’Avvocato Agnelli: che carisma che aveva. Era un periodo di transizione: dopo l’epoca di Platini e Boniek credo fossimo 9 nuovi giocatori. Con Zoff siamo tornati a vincere e fu fantastico. L’unica amarezza è stata non conquistare lo scudetto. Ma vedere gli stadi sempre pieni per noi è una cosa che non si dimentica”.

Una Serie A cambiata radicalmente da quando Rui Barros l’ha lasciata: “A quel tempo l’Italia aveva i giocatori migliori del mondo, l’atmosfera era grandiosa e credo che fosse più difficile giocare in A rispetto ad adesso, perché la qualità era maggiore. Ma la differenza chiave sta nell’entusiasmo: negli ultimi anni mi sembra che in Italia si sia un po’ perso. Sono curioso di vedere lo Stadium. Se potessi, andrei a vedere il centro, un vecchio ristorante dove ho ancora tanti amici e anche la zona dell’Olimpico, dove prima c’era il Comunale: il mio stadio. Andrea Agnelli presidente? È un segnale di forza. L’Avvocato era un vincente e non credo sia un caso che la Juve sia tornata grande: è molto positivo per il calcio europeo. Com’è il Porto? Un club solido, rigoroso, che non molla mai dai suoi obiettivi. È il nostro marchio di fabbrica anche in campo. La nostra forza è globale, non di uno o due giocatori. È questo che fa davvero grande una squadra”.

Redazione

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