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Pirlo: “Io allenatore? Conte mi ha fatto venire voglia. Allegri? Alla fine conta il risultato, e ha ragione lui”

Tra poco più di 10 giorni Andrea Pirlo sarà protagonista per l’ultima volta su un campo di calcio, almeno nel ruolo di giocatore. I riflettori saranno tutti per lui nella ‘Notte del Maestro’, l’ultima partita del numero 21 prima di decidere cosa fare del suo futuro. Forse farà l’allenatore, forse no. Deve ancora pensarci bene: “Tutti i miei ex compagni non volevano diventarlo, poi sono diventati allenatori. Per ora non ci penso, inizierò a fare il corso perché avere il patentino può fare comodo. Lavorando con Conte, mi è venuta un po’ voglia di diventare allenatore”. Lascia aperta ogni eventualità Andrea Pirlo, che si racconta dal palco d’onore della sala Buzzati, dove è stato premiato con il Premio Facchetti. Tra ricordi e aneddoti, l’ex centrocampista del Milan ripercorre la sua lunga carriera dagli albori, partendo dal Brescia, dove ha avuto l’opportunità di conoscere Baggio: “Roberto è stato il calcio. Insieme a lui ho imparato tanto, e mi ha trasmesso tantissimo- queste le parole di Pirlo riportate dalla Gazzetta dello Sport- Devo molto anche a Carletto Mazzone, che per primo iniziò a provarmi nel ruolo di play. Dal Brescia in poi è stato tutto naturale”.

Balzo in avanti, e dopo il Bescia si passa alla chiamata dell’Inter: “Ho un bellissimo ricordo di quel momento, quando l’Inter chiamò il mio procuratore, perché ero tifoso dell’Inter da bambino. Andai all’Inter e iniziai la preparazione bene con Simoni e tutto quel campionato giocai una ventina di partita e anche in Champions giocai. Nel primo anno ero abbastanza soddisfatto, poi l’anno dopo sono andato in prestito alla Reggina perché ci fu quel brutto preliminare con Lippi. Pazienza, poi la storia ha preso un’altra piega, doveva andare così”. Dalla Milano nerazzurra a quella rossonera, Pirlo parla naturalmente della sua esperienza al Milan: “Dopo il prestito non volevo più tornare all’Inter. Galliani chiamò il mio procuratore e io dissi: ‘vado subito’. Sono stati dieci anni stupendi, i più belli e felici della mia vita, dove siamo riusciti a vincere davvero tutto. Una cavalcata straordinaria. La prima Champions al Milan è stata la più bella, la più emozionante. E la prima non si scorda mai. Se ho mai pensato di giocare all’estero? Ho avuto la fortuna di giocare con le tre squadre più importanti in Italia nel momento più importante del calcio italiano, e quindi non ho nessun rimpianto. Meglio di così non poteva andare, e all’epoca non avevo nessuna voglia di andare all’estero. Ancelotti? E’ stato l’allenatore che ho avuto per più anni nella mia carriera, un secondo padre per me e per tanti compagni al Milan. Insieme abbiamo raccolto grandi soddisfazioni, una persona speciale che ci ha insegnato tanto e ha dato tanto sul piano umano. Dovrò per sempre ringraziarlo”.

Impossibile non menzionare la finale di Istanbul persa inspiegabilmente contro il Liverpool: “Dopo tanti anni la delusione rimane, ormai ho smesso di giocare e quindi non posso più tornare indietro. E’ stato il miglior primo tempo, quello, del ciclo di Ancelotti, poi non capiamo ancora adesso cosa possa essere successo. Pensai anche di smettere, ma fortunatamente sono andato avanti e abbiamo avuto la nostra rivincita. Allegri? Risultati o bellezza? C’è sempre una via di mezzo. Bisogna trovare sempre una via di mezzo, noi al Milan giocavamo bene e vincevamo per cui non c’era discussione. Allegri è un ottimo allenatore, e cerca di dare il meglio alla squadra: a volte giocano bene, a volte male. Ma alla fine conta il risultato, e ha ragione lui. Il Pallone d’Oro? Mai pensato che fosse una cosa così importante per un calciatore. C’erano altri campioni in quell’epoca, ero contento di vincere come squadra. Il Pallone d’Oro non è mai stato una cosa che ho sentito mancarmi”. Chiusura sul suo amico Gattuso: “Lo vedo bene, solo un po’ invecchiato. Non pensavo che Rino facesse questo lavoro in poco tempo: ha dato un anima, senso di appartenenza, sono contento di lui e lo sento spesso”.

Redazione

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