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Attaccante “del secolo” a Pisa e la “maledetta” Juventus: la storia di Piovanelli

4 miliardi e mezzo (di lire) e…nemmeno una partita ufficiale con la Juventus. Succedesse ora, faremmo trasmissioni intere per capirne motivi e retroscena. Invece, accadde nel 1991, storia ormai di 28 anni fa. Lamberto Piovanelli segnava a raffica con il Pisa, tanto da diventarne oggi attaccante del secolo, votato proprio ieri sera al Teatro Verdi da giornalisti e tifosi.

Il suo presidente, Romeo Anconetani é già un precursore all’epoca: dalle prevendite dei biglietti alle intermediazioni su acquisti e cessioni di giocatori, dai treni speciali al sale scaramantico dietro le porte, un fiuto innato per i talenti. E Piovanelli ha, aveva, qualcosa di speciale. Alto ma non forte di testa, tecnicamente abile, moderno nei movimenti, il classico giocatore di manovra.

Tanto che Lucescu lo prova anche centrocampista centrale proprio in Coppa Italia (novembre 1990) contro la Juve di Maifredi, lì scattò il colpo di fulmine. “Un mese dopo circa -ci racconta Piovanelli- mi convocano in nazionale per gli infortuni di Baggio e Mancini. Ricordo ancora la data, 21 dicembre. Anconetani mi organizza (lui, eh!) un volo privato per raggiungere Cipro e i miei nuovi compagni azzurri. Sull’aereo, mi dicono di scegliere. Juve o Fiorentina. Io sono viola dentro, nato e cresciuto a Firenze, mi sono valorizzato nel Castelfiorentino giocando con Spalletti al fianco. Eppure non me la sento di essere o provare ad essere profeta in patria, nella mia città. Penso alle possibili pressioni sulla mia famiglia, nonostante sia proprio Mario Cecchi Gori in persona a volermi. Così, scelgo la Juve, non l’avessi mai fatto”.

Nel frattempo s’infortuna pure, ma i bianconeri lo prendono comunque. É Montezemolo a forzare, pretende Piovanelli alla Juve. 4 miliardi e mezzo, boom. E allora, perché non giocherà mai una partita con quella maglia? Le figurine Panini, solo qualche amichevole, stop. Zero di zero. Perché in società è tornato Boniperti, che mette una croce sull’acquisto dei suoi predecessori. “Mi volevano mandare a Reggio Emilia, scambiare con Ravanelli. Mi davano qualsiasi cifra, mi impuntai”. No alla Reggiana, niente. E niente Juve lo stesso. Fino a una chiamata di Moggi, che non è ancora ufficialmente della Juve, ma ne fa lo stesso il mercato. E lo spedisce dove Lamberto chiede di andare, ovvero di nuovo all’Atalanta dov’era già stato a inizio carriera. Va in prestito, prima di essere letteralmente regalato al Verona nel 1992.

Nemmeno una lira di cartellino, quei 4 miliardi e mezzo spesi solo un anno prima letteralmente in fumo. “Al Bentegodi parto bene con Reja, poi arriva Mutti e si porta Inzaghi da Piacenza. Pippo segna… segna a raffica pure in allenamento, fine dei giochi per me”. A Perugia, poi segna ancora e si diverte un anno, ma non è più il Piovanelli di prima. Tra infortuni e altro, smette presto, a soli 31 anni, ma oggi è ancora l’attaccante più amato nella storia del Pisa. Infatti vive qui, si sveglia e guarda la sua Torre, ama il buon cibo e si vede. I chili sono aumentati, si fa fatica a riconoscerlo, anche per quei capelli grigiastri e la barba incolta. Sorride sempre, si gode la sua bella famiglia, ma ripensa spesso a quella maglia un po’ maledetta che non gli ha certamente rubato il cuor.

LEGGI ANCHE: PISA 20 ANNI SENZA ANCONETANI: DA DUNGA A LARSEN IL RICORDO DEI PROTAGONISTI

Gianluca Di Marzio

Ci ho messo più di trent'anni per tornare dove sono nato. Non conoscevo le strade, non sapevo a memoria le vie, ricordavo solo il nome della clinica -Villa Stabia- dove mia madre mi aveva dato alla luce. Più di trent'anni sì, non proprio un figlio modello per la mia città, Castellammare di Stabia, una trentina di chilometri da Napoli. Lì sono nato il 28 marzo del 1974, sono Ariete per gli amanti dei segni zodiacali, non chiedetemi l'ora e comunque non sono un fanatico degli ascendenti.

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