“Gutta cavat lapidem“, la goccia scava la pietra. Matteo Pessina come motto ha scelto un proverbio del poeta latino Lucrezio. Un inno alla perseveranza, il richiamo al culto antico della pazienza.
Ci sono voluti 7 anni, perché Pessina tornasse a vestire i colori della sua infanzia, il biancorosso del Monza. Se n’era andato bambino, torna uomo. Lo fa da campione d’Europa, dopo 102 presenze in Serie A. Indosserà forse la fascia da capitano, come auspicato da Adriano Galliani. Sarà romantico, come dicono da queste parti.
Aveva cominciato al circolo La Dominante, Matteo. Dove per i bambini che sognano di diventare calciatori il sentiero è tracciato in rossonero. Andava al campo con la sua sacca blu, vedeva lo stemma del Milan praticamente ovunque. Nei corridoi, all’ingresso dei campi. Sei bravo, gli dicevano. Ti vuole il Monza. Ed ecco il primo cambio di scenario, il primo salto in alto. Prima le giovanili, poi la prima squadra. Sono anni duri per il Monza, quelli che precedono il fallimento societario del 2015. Quando per Matteo arriva il secondo step, il secondo salto in alto. Lo vogliono Inter e Milan: il massimo che si possa immaginare, anche se non sono anni facili per le due squadre di Milano, costrette a subire l’egemonia della Juve in Serie A.
L’estate di quell’anno è ricordata per un derby accesissimo. Il Milan è a un passo da quello che ai tempi sembra uno dei più luminosi talenti d’Europa, Geoffrey Kondogbia. Ma ad avere la meglio, con uno “sgarbo” di quelli di cui la storia del mercato è piena zeppa, è l’Inter di Ausilio. Galliani trama la vendetta: la risposta ai 36 milioni spesi dai rivali per il francese furono i circa 30mila euro versati al Monza per Pessina, soffiato all’Inter, che lo aveva in pugno. Una cifra non dovuta: il Monza stava fallendo, Pessina si sarebbe svincolato al 30 giugno. Ma Galliani quei soldi volle devolverli ai dipendenti che di lì a poco avrebbero perso il lavoro.
Poi per Pessina ci furono diversi prestiti: Lecce, Catania, Como. Un giro d’Italia senza fuochi d’artificio, ma che lo aiutò a crescere caratterialmente. La terza svolta della sua carriera arriva nel 2019, con Juric: il Verona lo ha preso in prestito dall’Atalanta, che nel frattempo lo aveva acquistato dal Milan, e lui comincia a splendere. Poi il ritorno all’Atalanta, l’apprendistato con Gasperini, la maglia della nazionale. Fino a Wembley, il gol all’Austria che sigilla il passaggio ai quarti, secondo per lui a Euro 2020 dopo quello al Galles nei gironi.
Da Wembley Pessina se ne andrà via senza maglietta, con un pezzetto di rete ritagliato e strappato via come souvenir, e una medaglia d’oro al collo. Per lui sarebbe cominciata una stagione travagliata dagli infortuni, con poco spazio. Prima di oggi, del nuovo inizio che lo riporta a Monza. Ragazzo d’oro, d’altri tempi, si dice di lui. Appassionato di balletto e dei classici in musica, nessun tatuaggio (per la felicità di Silvio Berlusconi), non corrisponde allo stereotipo del calciatore “ignorante”. Studente di economia come un altro monzese doc, il suo amico Filippo Tortu, nel frattempo diventato campione olimpico a Tokyo. Non farà però economia dei sentimenti, questa volta. Si darà completamente a una piazza che già lo ama come si ama un figlio. Con l’impegno, la perseveranza che sono i marchi della sua terra, affronterà il viaggio della catarsi. “Nulla viene da nulla“: il copyright è sempre di Lucrezio, ma Pessina sottoscriverebbe in pieno.
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