Un gol dove tutto è iniziato per ricominciare a sognare. Era il 28 maggio 2017 e sembrava proprio che la festa del quarantenne Francesco Totti, nel giorno del suo ritiro dal calcio, volesse rovinarla un sedicenne che all’Olimpico diventava il primo giocatore del nuovo millennio a segnare un gol in Serie A. Se aveste dovuto scommettere su dove sarebbe stato quel ragazzino sbarbato cinque anni dopo, forse non avreste detto in una squadra di metà classifica. Ed è proprio per questo che il ritorno al gol di Pellegri, ancora all’Olimpico, ha un significato speciale. Si spera di un nuovo inizio.
Quasi 190 centimetri. Si vedono tutti. Salta più in alto sull’angolo di Rodriguez. Corre, corre tanto, corre veloce, corre verso una panchina che lo avvinghia con tutto l’amore possibile. C’è Ansaldi, che lo stringe più forte di tutti. Da qualche parte c’è anche papà Marco, team manager al Torino come lo era nei suoi tempi al Genoa. Quando segnò una doppietta, in maglia rossoblù, proprio alla Lazio, non riuscì a trattenere le lacrime. Sono cambiate le cose. Oggi, dopo aver segnato un gol che mancava dal 2020, testa china fra i baci dei compagni, sembra pianga Pietro. È così importante.
Nell’abbraccio collettivo manca Ivan Juric, leone nella gabbia che è la tribuna dell’Olimpico. L’assenza non è secondaria: fu proprio Juric a farlo esordire in A. Guarda caso a Torino, contro il Torino, all’Olimpico Grande Torino. È per lui, oltre che per papà, che Pietro è sbarcato in granata dopo sei mesi nell’ombra in rossonero. “So che può aiutarmi”, aveva detto appena arrivato. Nel grande abbraccio collettivo ci sarebbe dovuto essere anche lui oggi; tuttavia, ci si accontenta del secondo Matteo Paro, che lo manda in campo al 45’.
L’aria dell’Olimpico, per Pietro, è sempre carica di elettricità, anche se non è più il bambino sbarbato del primo giorno di gloria. Entra, fa a spallate con tutti. Prende un giallo dopo pochi minuti. Scatta verso l’arbitro con gli occhi spiritati. “È il primo!”, grida infuriato. Se l’attaccante vive al ritmo dei gol che segna, la sua carica è quasi inspiegabile. Poi eccolo di nuovo, il gol. Se lo gode e torna a lottare, fa di tutto per mantenere su la squadra anche nei minuti finali.
È lui che prova, solo in un deserto di maglie biancocelesti, a inventarsi un contropiede, prima che Immobile faccia quello per cui è nato. Nella porta dove Pellegri è nato, segnando alla Roma il primo gol. La beffa è doppia, perché la palla la perde lui. Paro lo catechizza dopo il fischio finale. Questa volta la mancanza di Juric non si sente, avrebbe fatto anche di peggio. Papà Marco, invece, si allontana. Lo tratta come gli altri, quando si festeggia e quando ci si arrabbia, questo è il patto.
Fischio finale, non è contento nessuno. Neanche Pellegri, competitivo come sempre. Sperando, però, che oggi sia il momento che segna una vita nuova. Ripartendo dall’Olimpico, per ricominciare quella scalata a cui tutti lo davano per predestinato. Il tempo c’è e il Toro è la “famiglia” giusta per farlo.
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