Lo scrittore, prima della sua scomparsa, ebbe l’opportunità di giocare una partita di calcio nello storico stadio Fratelli Ballarin: “Si lamentava dei suoi compagni ‘scarponi’”
Poeta, scrittore, regista e… calciatore (almeno per un giorno). Pier Paolo Pasolini, scomparso il 2 novembre del 1975, resta uno dei più grandi intellettuali della letteratura italiana. Oggi, a cinquant’anni esatti dalla sua scomparsa, decidiamo di salire sulla macchina del tempo e tornare al 14 settembre del ’75.
Un mese e mezzo prima della sua morte, Pasolini è a San Benedetto del Tronto — comune della provincia di Ascoli Piceno — per disputare una partita di calcio. Una gara amichevole tra le “Vecchie Glorie” della Sambenedettese e la Nazionale Italiana Artisti, squadra alla quale prende parte.
Sul prato consumato dello stadio ‘Fratelli Ballarin’ — storico impianto cittadino, abbattuto nel 2024 e oggi pronto a rinascere come parco urbano — c’è aria di festa e curiosità: tutta la città vuole vedere il poeta con un pallone tra i piedi.
Ma come nasce quella che molti ricordano ancora come “l’ultima partita di Pasolini”?
L’idea, nata quasi per caso, venne promossa da Alberto Perozzi, giornalista e agente turistico del posto, e Carlo Luzi, commerciante con un passato nel cinema. Fu proprio quest’ultimo, grazie all’amicizia con Ninetto Davoli, a coinvolgere Pasolini. Perozzi si occupò di rintracciare le vecchie glorie della Sambenedettese; Luzi, tramite Davoli, portò a San Benedetto del Tronto la Nazionale Artisti.
Le “Vecchie Glorie” vinsero, ma il punteggio contava poco. Quel che resta, raccontano i testimoni, è l’immagine di Pasolini che non si arrende, che corre e si lamenta, come se il calcio fosse un’altra forma di scrittura.
Francesco Villa, ex calciatore della Sambenedettese in Serie B, giocò quella partita: “Il Signor Pasolini – dice alla pagina Facebook ‘L’ultima partita di Pasolini’ – si lamentò per tutto l’incontro. Disse che le squadre erano ‘fatte male’, che aveva dei compagni ‘scarponi’”. A conferma di quanto lo stesso Pasolini non accettasse perdere, in nessun contesto.
Pasolini e il calcio sono sempre stati legati da un filo profondo. Lo dimostrano i tornei e gli eventi che ancora oggi lo celebrano, come quello allo Stadio dei Marmi di Roma. Ninetto Davoli lo ricorda con affetto: “Pier Paolo era bravo, veloce – spiega a Roma Today – . Da ragazzo lo chiamavano Stukas, come l’aereo. Quando iniziammo a lavorare insieme, scoprimmo di condividere questa passione e cominciammo a fare partitelle con amici come Sergio e Franco Citti, Enzo Cerusico e tanti altri. Giocavamo ovunque: nei campetti di terra, nei prati, dove capitava. Poi decidemmo di organizzare partite vere, con un piccolo biglietto d’ingresso, e di destinare il ricavato in beneficenza”.
Da quelle sfide improvvisate nascerà la Nazionale Attori, la stessa che lo accompagnò a San Benedetto del Tronto, per l’ultima volta. Una partita, una promessa — “quella di tornare a visitare la città” — che non riuscì mai a mantenere. Di quella sfida al ‘Fratelli Ballarin’ rimase solo una maglia sudata e un pallone sporco di fango. Aveva perso, vero. Ma in quel momento aveva capito tutto.
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