Immaginate crescere calciatore in Argentina: “si vive in una maniera differente rispetto al resto del mondo, passionali con un attaccamento incredibile per la nazionale”. Scendi sotto casa e vai a copiare gli idoli che vedevi in tv. Se cresci a cavallo degli anni ’80 e ’90 tra i giocatori dell’Albiceleste hai una scelta enorme, ma alla fine dei conti c’è solo un nome: Diego Armando Maradona. Poi però si inizia a parlare di un nuovo talentino, tre anni più giovane di te. A 16 anni è già al Barcellona e fa magie: Lionel Messi.
Maradona come allenatore e Leo come compagno e avversario: Nico Pareja ha vissuto in prima persona il passaggio di consegne più iconico del calcio mondiale.
Per fargli una domanda del genere bisogna farlo un po’ sciogliere, ma non farla sarebbe reato. Maradona o Messi? “[ride] Molto difficile. Quello che ha fatto Diego è indescrivibile. Il talento che aveva e quello che ha rappresentato per noi argentini. Però a me è toccato vivere di più l’epoca di Messi. Per me è un extraterrestre. Non solo per quello che ha fatto ma per aver mantenuto un livello così alto per così tanto tempo. Che avesse vinto il Mondiale e che non lo avesse vinto, Messi per me è sempre stato il miglior giocatore del mondo”.
Risposta chiara, ma solo per fattori generazionali. Ciò non toglie il grande rapporto che ha avuto con Maradona. “Era stato lui a convocarmi la prima volta nella nazionale maggiore dopo che mi aveva visto giocare alle Olimpiadi”. Sempre grande rispetto. “Ogni volta che poteva mi convocava. Avere di fronte Maradona ogni giorno era indescrivibile, una delle cose migliori che mi sia capitata nella mia carriera. La motivazione che ti dà anche il solo vederlo ogni giorno è incredibile”.
Quelle Olimpiadi del 2008 erano state magiche. E non solo perché Maradona aveva scoperto Pareja. “Avevamo una squadra spaziale: Agüero, Di María, Lavezzi, Riquelme, soprattutto Messi. Tra noi ci completavamo molto bene e il risultato si è visto sul campo. C’erano i cracks che facevano la differenza, ma funzionavamo come una squadra e questo è stato importante per vincere. Noi dietro davamo la tranquillità giusta a quelli davanti per permettergli di fare quello che volevano”.
Medaglia d’oro conquistata, “vincerla è stato il punto più alto della mia carriera”. E un’esperienza che rimarrà nel cuore: “È stato molto bello quando siamo andati al villaggio olimpico. Noi del calcio eravamo tutti in un hotel esterno. Ma per l’ultima partita della fase a gironi ci hanno lasciato andare lì per due giorni. È stato fantastico anche solo essere nella mensa insieme a Nadal o potersi fare una foto con Kobe Bryant“.
Nel palmares Nico Pareja ora conta: tre Europa League, una medaglia d’oro olimpica e una Kings League. “È una cosa totalmente nuova che non mi aspettavo mai di fare. Però è stato molto bello per me perché mi ha permesso di tornare a giocare a calcio che rimane la cosa che mi piace fare di più”. Dopo vincere trofei: non a caso con El Barrio ha vinto la prima edizione del torneo. “El Barrio funziona un po’ come il mio Siviglia, molto di squadra. Abbiamo giocato contro squadre che erano molto più forti di noi ma abbiamo vinto contro tutti”.
Le final four al Camp Nou sono state qualcosa di speciale per lui che ci è entrato per tante volte da avversario. “Tornare lì e vederlo con così tanta gente è stato qualcosa di speciale. È stato molto bello perché mi ha fatto rivivere anche qualche ricordo di quando ero un calciatore”.
Ora però l’obiettivo è solo uno. “Dobbiamo difendere il titolo, anche se sappiamo che quest’anno sarà ancora più difficile. Noi abbiamo cambiato molto e gli altri si sono rinforzati bene. Dobbiamo reinventarci ma abbiamo tanta voglia di vincere ancora”. Alla soglia dei 40 anni, l’entusiasmo di Nico Pareja è rimasto lo stesso di quel ragazzino che giocava nei campetti di Buenos Aires. La differenza? Stavolta può dire che Messi e Maradona li ha visti per davvero.
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