“Vedi… penso sia sempre una questione mentale, di come ti approcci allo sport e alla vita. Sono molto emotivo e riflessivo, non sempre è stato un bene”. La chiacchierata parte in un tavolino nella piazza del Duomo di Monza. La voce è quella di Antonio Palma, centrocampista dell’Alcione cresciuto nell’Atalanta. Un tono calmo e un sorriso spontaneo che sono espressione di ciò che è stato e di ciò che è. Immagini del percorso personale di un ragazzo, delle consapevolezze costruite e fragilità affrontate. Perché essere considerato il talento del settore giovanile bergamasco e non riuscire a realizzare quel futuro che sembrava scritto non è facile. “Se guardo il mio percorso io ho fallito, non ho mantenuto le aspettative. Ma ho capito che valgo per la persona che sono, non per la categoria in cui gioco”. Nella sua storia si rincorrono e intrecciano le sfumature del numero 10, l’interesse per la politica e l’attualità, la passione per le maglie e le scarpe, Saviano e Falcone. L’esordio in Serie A, la gioia di giocare ritrovata in D, gli insegnamenti di Favini e una laurea in Giurisprudenza: “Lo studio mi ha salvato”. È cervello e ragione, in campo e fuori. “Mi è sempre piaciuto essere diverso. Diverso dagli altri”.
Nella sua complessità si nasconde la sua complessità. Semplicemente diverso. Semplicemente Totò Palma.
Onesto. Onesto nel riconoscere di aver conosciuto il fallimento e la fragilità. Un viaggio introspettivo. Testa alta e palla al piede, numero 10: “Quest’anno all’Alcione ho ritrovato la passione e il piacere di giocare a calcio”. Un passo indietro. Arrivato all’Atalanta a 8 anni, nel corso degli anni è considerato uno dei talenti più puri del calcio italiano: “Le aspettative le ho sentite alla fine del settore giovanile. Ed erano più aspettative mie su me stesso che degli altri. L’esordio in Serie A e 5 anni di contratto, pensavo di avere la carriera disegnata”. Poi invece “dopo i primi prestiti in C non sono stato in grado di sentirmi… Palma”. Vuoto, senza fiducia: “Non do la colpa alla sfortuna o agli altri. Semplicemente non sono riuscito a rispettare queste aspettative che avevo. Ho visto crollare la terra sotto i piedi”. Negli anni la capacità di cambiare prospettiva: “Mi sono detto di godermi ciò che avevo. Ho cambiato il modo di vedere la vita, liberandomi dal peso del giudizio degli altri”. Costruirsi un’identità. La propria. Autentica: “Sono tornato a sentirmi me stesso. Ho ritrovato l’emozione. L’emozione di esultare, soffrire, stare bene. Emozioni che non hanno categoria. E io vivo di emozioni”.
All’Atalanta dagli 8 ai 19. Un talento conteso da un altro nerazzurro: “Mi voleva anche l’Inter. Con mio padre ho scelto Bergamo per il loro settore giovanile”. Chiara la filosofia: “Ti fanno capire fin da subito che la squadra è più importante del singolo. Conta il gruppo”. Un nome, quello di Palma, conosciuto da tutti. Aspettative e pressioni: “Mi sembrava tutto normale. Non c’era ancora l’attenzione mediatica dei social. Avevamo creato un gruppo che è andato avanti per molto tempo. C’erano Gagliardini, Redolfi, Caldara, Conti. Roberto ogni tanto lo sento ancora, un ragazzo molto umile”. Nel percorso una figura come quella di Favini: “Un totem assoluto per tutti. Ti faceva capire la sua stima, gli piacevo molto anche come ragazzo”. Nel mezzo anche la Nazionale: “Ricordo ancora la partita contro Calhanoglu, che forte”.
Dalle giovanili all’esordio in A. “Mentre ero negli Allievi Colantuono mi notò”. La stagione successiva il ritiro estivo con la prima squadra: “Ora torna con la Primavera, quando sarà il momento ti chiamerò”. Una frase, un sogno. Iniziano le prime convocazioni in A. Poi la partita dell’esordio a Udine: “Sensazione incredibile”.
Dopo l’esordio in A, iniziano le esperienze con i grandi: “Nocerina, Como e poi sono andato in B a Cittadella, la ‘non svolta’ della mia carriera. Ero convinto di giocare, ma all’andata ho fatto solo 5 presenze. In quel momento mi sono mancate un po’ di certezze, ho faticato a reagire”. Diversi anni in C. Alti e bassi, fino alla delusione di Piacenza: “Da capitano a fuori rosa”. Andare al campo e allenarsi da solo: “È staro pesante”. Lo scorso anno arriva all’Alcione in Serie D: “Una stagione bellissima, culminato con la vittoria dei playoff. Ho riscoperto l’amore per questo sport”. L’obiettivo è tornare tra i professionisti con la squadra di Milano: “In estate c’è stata amarezza per il mancato ripescaggio. Lotteremo per vincere quest’anno il campionato”. Palma è tornato a giocare. Palma è tornato a sorridere, perché “le emozioni non hanno categoria”.
Essere Antonio Palma significa essere tanti colori. L’importanza dello studio: “Mi sono laureato in Giurisprudenza.Lo studio mi ha aiutato a non deprimermi e a vedere un’altra parte della vita. È stata la mia salvezza”. Lo scrivere: “Mi piace. Ho collaborato anche con un sito”. La scuola calcio aperta con “il mio ex compagno Candido. Abbiamo creato questa associazione sportiva dove teniamo allenamenti di tecnica individuale ai bambini”. La passione per le scarpe da calcio e le magliette: “Sono affezionato a quelle di Pizarro e Totti”. Falcone e Borsellino come riferimenti, e la passione per i libri di Saviano. Un animo mosso dalla curiosità e voglia di conoscere: “È una parte di me. Mi piace essere informato un po’ su tutto”. E l’interesse per la politica: “Manca collaborazione. C’è poco rispetto per la persona”.
Torniamo da dove siamo partiti. A quel percorso e a quelle consapevolezze costruite nel tempo: “Nei momenti di “fallimento” nascono i nostri successi, capendo gli errori. Il fallimento diventa un’opportunità e non la fine di qualcosa”. “Wow”. Lo ripete spesso Antonio. Uno stupore di chi ha imparato ad apprezzare la vita. A sorprendersi per la bellezza delle piccole cose, apprezzarle e viverle. Di chi vive il calcio come “puro divertimento”. Fantasia e genio, l’arte del 10: “Maradona, Riquelme e Mancini su tutti”. Un 10, dentro e fuori: “Trovare ogni giorno il positivo della vita, viverla con entusiasmo e non in modo superficiale. Questo è essere il 10 nella vita”.
Palma ha trovato la sua serenità. E ora, riguardandosi indietro sorride ripensando al giovane Antonio e “gli chiede di ridere insieme”. Il ragazzo è diventato uomo. Tornare a emozionarsi, accettando il fallimento. Accettando sé stessi. Cambiare prospettiva e innamorarsi delle sfumature del percorso. Essere 10, nel calcio e nella vita.
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