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Palestina agli ottavi di Coppa d’Asia: il calcio come lotta per l’identità

C’è chi ha perso la casa, chi un familiare. Chi ha perso un amico o la voglia di giocare. Altri solo la forma fisica, o l’abitudine a pensare al calcio. Tutti loro hanno ricordato al mondo in 180 minuti che la Palestina esiste. 

Con la prima, storica vittoria in Coppa d’Asia, ottenuta oggi contro Hong Kong, la Palestina si è qualificata agli ottavi di finale. Anche questa una prima volta assoluta. Nel 3-0 i gol sono di Dabbagh (doppietta), attaccante dello Charleroi, e di Al Qanbar.

Un riscatto dopo la sconfitta per 4-1 inferta dall’Iran, ma soprattutto un’occasione ideale per ricongiungersi con chi sta soffrendo in patria. Come dimostrano preghiere, corse, pianti a fine partita. 

Dal 7 ottobre anche la vita dei calciatori della nazionale di Makram Daboub è cambiata. Non potrebbe essere altrimenti, anche per chi vive e gioca all’estero. I campionati in Cisgiordania sono stati immediatamente sospesi, dopo la risposta di Israele agli attacchi di Hamas che ha portato a Gaza morte e devastazione. Ma anche chi gioca in Egitto, come Wadi e Saleh, tiene il fiato sospeso da tre mesi e mezzo. Leggi anche – Tutto quello che c’è da sapere sulla Coppa d’Asia

Coppa d’Asia, storico pass della Palestina

Sono più di 70 i calciatori palestinesi che sarebbero rimasti uccisi dall’inizio del conflitto. Il conto sale se si guarda anche a tecnici e preparatori. Pochi giorni fa la federazione palestinese ha comunicato il tragico decesso del CT della nazionale olimpica, Hani Al-Masdar, ex calciatore. Alcuni dei giocatori non hanno risposto alla convocazione causa lutto; in ogni partita il primo pensiero è rivolto alle immagini (e ai messaggi) che arrivano loro telefono. Novanta minuti di calcio sono anche novanta minuti di blackout, senza notizie. 

Una bandiera palestinese ai Mondiali in Qatar del 2022

Per la nazionale palestinese questa è la terza partecipazione alla Coppa d’Asia. Il CT aveva parlato della qualificazione al secondo turno come di un mezzo per “issare la nostra bandiera” e per “affermare la nostra identità“. Perché il calcio, si sa, resta sempre la più importante delle cose meno importanti. 

Andrea Monforte

Classe 2000, monzese (d’adozione), studio Lettere a Milano. Un’indomita ed ereditaria passione per lo sport (calcio, ovviamente, ma anche ciclismo), declinata in “narrazione” tecnica e sentimentale: la critica della complessità come antidoto alla semplificazione. La vaghezza del ricordo personale ha reso l’azzurro del cielo di Berlino 2006 un’indelebile traccia mitologica. Sono nato lo stesso giorno di Ryan Giggs e di Manuel Lazzari, ma resto umile.

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