La dai all’Inferno e te la ritrovi in Paradiso. Lassù, a guardare. Sposti un attimo lo sguardo ed è di nuovo giù, negli inferi, che arranca. Mezze misure zero. Questa Lazio non ne ha. Nel gioco, nei gol, nei risultati. Che poi li vedi e sono lì, lampanti, chiari. Di cuore. Da 2-0 a 3-4 alla Fiorentina. Come se la tranquillità e il controllo non esistessero. Come se la Lazio, alla fine, parlando in astratto, si divertisse anche un po’ a soffrire, caricandosi nelle difficoltà.
Parla la storia: dopo un sorriso c’è una pugnalata al cuore. E’ sempre stato così, e sempre sarà. Salisburgo l’esempio più recente. Questa Lazio, quella di Inzaghino, è quasi no-sense, ha una forza interiore infinita. La dai per spacciata ma ti sorprende. Una prova evidente: perde 4-1 in Austria e butta via la semifinale, poi va a giocarsi il derby tirando fuori una gara d’orgoglio. Due volti da Lazio. Stavolta rimonta e vince con la Fiorentina di Pioli, ex di giornata, che non perdeva da 7 turni di fila. 4 reti pulite. E’ una Lazio pazza, indecifrabile, arrembante, giovane. Un romanzo dalla trama avvincente, un thriller dall’esito incerto e curioso. Musica rock. Con pregi e difetti. L’arroganza tipica del ragazzino sfrontato, coraggioso, che gioca fino a tardi nei paesi e ignora la madre preoccupata. Spensierato, felice, ribelle. La Lazio è un gruppo di amici, una bravata giovanile che non riesci a punire, troppo guascona per gli schiaffi. Alla fine apprezzi. E perdoni. Come quei tanti errori difensivi che continuano a verificarsi, 43 reti subite sono troppe. Ma il contraltare fa sorridere: miglior attacco della Serie A con 79 gol, 113 stagionali tra tutte le competizioni (un record per la storia del club).
Un manipolo di “pischelli” che si spalleggiano a vicenda: Milinkovic è il “bulletto” del centrocampo di quartiere, Felipe è quello in disparte che si accende all’improvviso. E punge. Come con la Viola. Luis Alberto, invece, è quello un po’ timido, chiuso, uno che a guardarlo da lontano non gli daresti neanche un euro. Ma poi? Poi sì. Pesca filtranti dove non ci sono, doppietta e assist-man contro Pioli. 11 reti, 13 passaggi vincenti. Una scommessa stravinta. Lì davanti, col 9, c’è anche Ciro Immobile da Torre Annunziata, 39 reti stagionali e capocannoniere. Squad. Ah, infine c’è de Vrij, quello che viene messo dietro per sopperire alla fantasia imperante. Lui, Luiz Felipe e l’equilibrio di Leiva. Tutti lì. Inzaghi ha preso la penna, si è messo seduto e ha iniziato a scrivere una Divina Commedia tutta sua, eliminando il Purgatorio. O all’Inferno o in Paradiso. L’obiettivo è proprio quello. Arrivare nell’Eden, nel giardino dei sogni, dove ci sono le grandi squadre. Die Meister. E un inno storico in tre lingue che da troppo tempo non risuona.
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