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Nuvole, pallone e… interessi: alla scoperta del calcio in Messico

Messico, nuvole, pallone. E tanti – troppi – interessi economici. Andiamo alla scoperta dell’America… squadra di Primera messicana: il suo patron, Emilio Azcàrraga Jean, è anche il proprietario e magnate di Televisa, una delle società di comunicazione più ricche e influenti del pianeta, nonché unica detentrice dei diritti tv delle partite delle 18 squadre della lega di calcio più importante in Messico. Insomma, il proprietario di una delle squadre di Primera Division è anche proprietario della tv che trasmette in esclusiva tutte le partite. Ma c’è di più. Prendiamo Carlos Slim, uno dei 10 uomini più ricchi del mondo, nonchè proprietario di più colossi delle telecomunicazioni come Telmex e America Movil, che messe insieme controllano il 73% del traffico telefonico dell’America Latina. Ecco, lui è anche il padrone di ben due squadre che militano in Primera Division: il Leon e il Pachuca. A questo proposito il presidente federale Decio De Maria sta portando avanti una battaglia per vietare le multiproprietà calcistiche entro il 2018. E chissà se ce la farà.

Se si va a spulciare tra le varie squadre che militano nel campionato messicano si scopre che gran parte di esse sono controllate da colossi delle telecomunicazioni o dell’edilizia, come il Tigres, squadra dell’eroe nazionale francese Pierre Gignac per intenderci, gestita dalla Cemex, terza ditta mondiale per vendita di cemento o il Queretaro Futbol Club, appartenente al signor Olegario Vazquez Aldir, direttore generale del gruppo “Angeles” che detiene i terreni e le strutture ospedaliere omonime e gli hotel “Camino Real”, oltre ad avere quote significative anche nel gruppo “Imagen” che si occupa, neanche a dirlo, di comunicazione e marketing.

A volte questi imprenditori e uomini più ricchi del mondo, sono in quota societaria in più squadre, diventando, nello stesso team, l’uno il maggior o minor azionista rispetto all’altro: per esempio l’imprenditore X detiene il 70% di una squadra e il 30% dell’altra, l’imprenditore Y completa le due percentuali nelle due squadre.

Il calcio in Messico è quindi un giro d’affari che sottostà al gioco di interessi delle multinazionali che dettano legge in ogni aspetto della vita calcistica delle società, degli spettatori da casa e dei giocatori. Esiste infatti un tacito accordo non scritto detto “Pacto de Caballeros” stipulato con una stretta di mano tra i proprietari delle squadre – che poi sono anche gli unici detentori del potere decisionale – che di fatto impedisce a un giocatore di svincolarsi o di negoziare un contratto con un’altra squadra senza il consenso della squadra che detiene il suo cartellino. Violare il “Pacto” sancisce la fine della carriera di un calciatore poichè nessun club è poi disposto a prenderlo. Esiste addirittura la clausola per cui se un calciatore che ha giocato in Primera Division, poi andato all’estero, decidesse di tornare in patria, l’ultima squadra messicana con cui è sceso in campo ufficialmente avrebbe il diritto di recompra prima di tutte le altre, senza che il calciatore possa opporsi.

Nel 2013 è stata presentata una proposta di legge da parte di varie associazioni sindacali che tutelano i lavoratori in Messico, tra cui anche i “Futbolistas”, nella quale si prova a limitare lo strapotere del “Pacto” che “viola i diritti dei calciatori”. Purtroppo questo disegno di legge non ha mai raggiunto l’approvazione finale.

Nonostante ciò, in Messico, il calcio continua ad essere lo sport più seguito: milioni di persone ne sono appassionate, milioni (e milioni) sono gli ascolti in tv che fa una partita. Alimentando un giro di interessi che, difficilmente, è destinato a calare.

Di Riccardo Despali

Redazione

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