Categories: Interviste e Storie

“Non è possibile un’educazione adeguata senza il calcio”. Nella vita di Fidel Castro, tra l’amicizia con Maradona, la Revolucion e una gioventù da attaccante

Se la prospettiva su Fidel Castro come politico assume diverse sfumature a seconda del punto d’osservazione (il rivoluzionario cubano è tra le figure più controverse della storia), è invece netta quella che lo colloca nel mondo dello sport, seppure anche qui, le contraddizioni non manchino. Fidel seguiva con passione le discipline olimpiche ma amava visceralmente il baseball (esiste qualcosa di più americano del baseball?) e il calcio, di cui ha detto: “Ho iniziato a giocare in un cortile, su un campo di cemento, con un pallone molto diverso da quelli moderni. Il calcio mi ha insegnato la capacità di resistenza, mi ha procurato piaceri e soddisfazioni, aiutandomi a trovare lo spirito combattivo”. Falce e pallone insomma, con i compagni, tra sbarchi e rivoluzioni. E compagno illustre, almeno nell’amore per questo sport, è stato Diego Armando Maradona. A vederli accanto, uno alto quasi due metri, l’altro uno e sessantacinque, l’uno sublimazione del calcio, l’altro della lotta, sembravano opposti. Ma li legava una profonda stima e li univa la distanza dagli Stati Uniti. Il loro rapporto è nato nell’87 e quando al Pibe de Oro tutto il mondo ha puntato gli occhi addosso (e il dito contro) ci ha pensato il lìder maximo a offrirgli una riparo. E l’amicizia è continuata, scandita da altri incontri e da una fitta corrispondenza in cui Fidel talvolta gli si è rivolto come Maestro. Sono infatti colme di gratitudine e affetto le parole con cui oggi Maradona l’ha salutato: “Sono addolorato. E’ morto un amico. Mi ha accolto a Cuba, è stato un grande consigliere. Fidel è stato come un secondo padre per me”.

Fidel in Maradona (e in Messi, che ha definito: “Formidabile atleta che porta gloria al nobile popolo dell’Argentina”) credeva, credeva negli uomini e non nel sistema. Per questo, alle accuse di incoerenza dovute alla sua passione per il calcio “globalizzato”, su Granma Internacional, aveva replicato: “Hanno mescolato nello stesso sacco gli sceicchi arabi, i dirigenti delle grandi multinazionali con i giocatori di calcio”. L’anticapitalismo che si erge contro il calcio a favore dei suoi interpreti. Lui che calciatore lo è anche stato in gioventù, nella squadra dei gesuiti dell’Avana e che il suo ex compagno Armando Arce Montes de Oca ha descritto così: “Fidel era uno dei cinque attaccanti, interno destro. Lo ricordo corpulento, muscoloso, molto forte e, soprattutto, molto coraggioso”.

Coraggioso in attacco, coraggioso nella sua Revolucion, Fidel si è spento ieri, a 90 anni, dopo una lunga malattia. Lo scorso aprile, al Congresso del partito comunista, sembrava essersi congedato: “Compirò 90 anni presto. Sarò come gli altri. Verrà il tempo per tutti noi, ma le idee dei comunisti cubani rimarranno come prova che su questo pianeta, se si lavora con fervore e dignità, si possono produrre materiali e beni culturali di cui gli esseri umani hanno bisogno. E’ necessario combattere senza mai rinunciare”. Un messaggio universale, che rappresenta quel coraggio di cui la storia, la politica e anche lo sport, hanno profondamente bisogno, Siempre. Oltre la Victoria.

Redazione

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