Consapevolezze – Ndiaye: “In viaggio per un sogno”

Maissa Ndiaye è il nuovo protagonista di Consapevolezze, il format de La Casa di C.
Il difensore senegalese ha parlato del suo viaggio partito dall’Africa e proseguito in Italia. L’attraversata del Mediterraneo su un gommone insieme ad altre 55 persone, la morte del nipotino e del padre, il sogno costruito in Italia: un cammino fatto di sacrifici ed emozioni.
A Roma ha firmato il suo primo contratto: “In quella firma c’era tutto”. Mourinho per lui è stato un maestro e un secondo padre: “Molto più di un semplice allenatore”.
A fine stagione tornerò in Senegal. Solo al pensiero mi viene da piangere. Se ripenso al mio passato mi dico “bravo”. Rifarei tutto quello che ho fatto. È stato un viaggio bellissimo. Sono grato per quello che ho passato, mi ha reso l’uomo che sono. Sette anni fa non avevo niente, ora sono qui. Ho sempre creduto nel mio sogno. Una vita senza sogni, non è una vita. Sognate. Vivete.
Consapevolezze – La lettera di Ndiaye
Un estratto della lettera: “Me lo ricordo quel giorno. Erano le 18 quando il mio nipotino mi chiamò. Eravamo molto legati. Pregava sempre per vedermi giocare in tv. Il giorno dopo quella telefonata andai da lui. “Il ragazzo non ce la farà, la malattia è in uno stadio troppo avanzato”. Per un mese lasciai l’accademia in cui mi allenavo per stargli vicino. Dopo tre settimane se ne andò.
L’immagine di quella notte non mi lascerà mai. Dormivamo insieme nello stesso letto. Se chiudo gli occhi rivedo tutto di quelle ore. Rimasi sveglio fino alle 3 di mattina, poi mi addormentai per un paio d’ore. Alle 5 mi risvegliai, una sensazione strana mi attraversò. Capii subito.
“Non c’è più, se n’è andato”. Voleva vedermi giocare in Europa. Gli avevo promesso che dopo il primo contratto gli avrei pagato gli studi. Non ho fatto in tempo. Li pago a suo fratello. Lo porterò sempre nel cuore. Mi ha dato la forza di attraversare il Mediterraneo per rincorrere il mio sogno. Lo dovevo a lui. Lo devo a lui. La vita è così, è vero. Ma fa male, tanto male.
Quello che sono oggi lo devo anche a lui. Mi ha trasmesso la sua forza. Quel giorno ho deciso deciso di lasciare il Senegal. Dopo la sua morte è iniziato il viaggio che mi ha portato qui. Sono arrivato con un barcone in Italia, ho rincorso quel pallone, ho pianto la morte di mio padre a km di distanza. Tutto con un’idea in testa: “Devo diventare un calciatore, non ci sono alternative”.
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