Testa alta, volto corrucciato e il ringhio di chi guarda la porta con cinismo. Marco Nasti ha solo 20 anni, ma è per i nostalgici. Via le prime pagine riservate agli attaccanti moderni: la mezza punta, il regista avanzato, il falso nove… lui quel 9 lo indossa davvero, in simbiosi col calcio old school. Poche volte dà le spalle alla porta, piuttosto la osserva e ci flirta. Lascia il resto dietro di sé, sul campo e nella vita. Lo ha fatto anche dopo l’episodio avvenuto durante il ritiro dell’Italia U21, grazie al chiarimento con Matteo Ruggeri – insieme a cui ha scherzato nelle storie di Instagram – e alla rassicurazione del suo CT: “Avevo paura di essermi giocato la Nazionale – ha detto ai nostri microfoni. Poi la settimana prima del ritiro ho sentito Nunziata. Mi ha tranquillizzato tanto: mi ha detto che dalla prossima me la giocherò con tutti gli altri”. Ed è già acqua passata.
Scacciati i fantasmi del passato, si può ricominciare a inseguire i propri obiettivi. E non vale solo per Nasti, ma anche per il Bari. La cura è la stessa: si chiama Pasquale Marino. “Ho passato un periodo difficile dopo quel brutto fatto. Mister Marino mi ha aiutato molto in questa fase. Io ero in Nazionale quando hanno esonerato Mignani e preso lui, quindi non ho avuto il tempo di conoscerlo in quei giorni. Ho deciso di aprirmi al mister perché non ero tornato nel migliore dei modi dal ritiro”.
E gli effetti si vedono: due vittorie e due pareggi in quattro partite. I biancorossi ora hanno ripreso a guardare verso l’alto, a discapito di alcuni cattivi umori in città. “Le ambizioni sono le stesse dell’anno scorso, tutti puntiamo a salire in Serie A. Quello è l’obiettivo, noi cercheremo di parlare direttamente sul campo. Quello di cui parla da fuori la gente non ci interessa. Noi cerchiamo sempre di vincere e dimostrare tutto in partita”.
In campo, Nasti mette piedi e testa. Ed è proprio con l’ultima che ha realizzato l’incornata contro la FeralpiSalò, per il suo terzo centro stagionale col Bari. “Io cerco sempre di mettermi a disposizione, al di là del gol. Quella è una conseguenza del lavoro del gruppo, io voglio sempre giocare per la squadra. La mia ambizione è arrivare alla fine e aver raggiunto l’obiettivo che ci siamo prefissati”. Ma la fame di migliorare i risultati non può frenarlo sul piano personale: “Sicuramente devo provare a non isolarmi. Se ci sono partite più chiuse devo giocare con la squadra per provare ad arrivare al gol”.
C’è anche spazio per un retroscena di mercato. Qualche passo indietro fino a luglio, quando il ds del Bari, Ciro Polito, decise di puntare su Nasti: “Lui è venuto fino a Milano per convincermi. Mi sono bastati dieci minuti di chiacchierata. Avevo altre opzioni in estate, ma il fatto che sia partito per avere un confronto con me mi è piaciuto. Il giorno dopo gli ho detto subito che sarei venuto a Bari”. Non servivano troppe avances, bastava solo toccare i tasti giusti… “Mi disse che gli piaceva il mio carattere, in particolare la mia ‘cazzimma’. Per lui sono uno che non molla mai e io cerco di non deluderlo”.
E dopo aver aperto le porte del mondo Bari, al centravanti classe 2003 è bastato poco per inserirsi: “Quando sono arrivato c’erano tanti grandi giocatori di esperienza. Mi hanno aiutato, ma non ce n’era troppo bisogno perché da loro non sento la pressione di dover dimostrare qualcosa. Il gruppo è fantastico, me ne avevano parlato bene. Mi lasciano giocare con leggerezza: non mi fanno sentire pesante, sono io a darmi le maggiori responsabilità“.
Mentre Nasti racconta, il dito scorre sul suo profilo Instagram. C’è una foto iconica: ha la maglia del Milan – ancora oggi proprietario del suo cartellino – e indica il 9, stampato sulle tinte rossonere ai tempi della Primavera. Per l’eredità di quel numero, i primi nomi a cui oggi pensano in molti sono Colombo e Camarda. Ma tra le due C potrebbe emergere anche il fattore N: “Io penso sempre che potrei arrivare al Milan, ho solo 20 anni e tutta una carriera in cui dimostrare quanto valgo. Io il numero 9? Spero un giorno di arrivarci. Io ora sono concentrato sul Bari, per il futuro vedremo in seguito”. Sembra il solito discorso di circostanza, eppure Nasti si interrompe all’improvviso. La mente viaggia, prende fiato per qualche secondo e ricomincia con la voce rotta dall’emozione… “Però è ovvio che la mia testa vorrebbe già essere lì. Al Milan è tutto bellissimo, mi hanno cresciuto e aiutato molto. È un posto fantastico”.
Tra aiuti e insegnamenti, ci sono anche pagine divertenti nell’album rossonero. E il protagonista non può che essere un simbolo del Milan: “Ibra lo conosciamo tutti: sappiamo che era un po’ quello che faceva casino. Una volta mi mangiò vivo in allenamento perché non gli passai il pallone. Però aveva la mentalità vincente, lo faceva per spronarti. I ragazzi che salivano in prima squadra dalla Primavera non avevano molta confidenza con lui”.
Se il Milan ha rappresentato l’infanzia e Bari può essere la tappa della maturità, è a Cosenza che Nasti ha vissuto la sua adolescenza calcistica: “L’anno scorso sono stato l’acquisto di gennaio, ho passato sei mesi senza vedere il campo perché non lo meritavo. Ero arrivato dalla Primavera e il livello in Serie B era molto alto. Quando abbiamo cambiato mister ed è arrivato Viali ci ha aiutato molto a fare gruppo, prima di lui non lo eravamo. Nessuno ci dava per favoriti, secondo molti a gennaio eravamo retrocessi”
I sei mesi statici vengono stravolti dalle ultime battute del campionato. Soddisfazioni a cascata: la doppietta con la Reggina, il posto da titolare, i gol per uscire dalla zona retrocessione, il “no” al Mondiale U20 per lottare col Cosenza e… i playout. Luci e ombre in quella notte di Brescia. Una salvezza miracolosa, ma incupita dagli attimi di paura al fischio finale: “In quel momento il primo pensiero è andato verso la mia famiglia in tribuna. C’erano mia madre, la mia ragazza e i miei fratelli. Ero preoccupato per loro, sono corso per farli entrare negli spogliatoi”. E ricorda la tensione all’interno di quelle quattro mura, dove l’attesa si è prolungata fino alle 3 di notte: “Dopo che ci siamo salvati non abbiamo messo neanche una storia. Sono cavolate, ma fanno capire come stessimo vivendo il momento”.
Ma a dare coraggio a Nasti è sempre stato il suo carattere. E lo ribadisce a gran voce anche prima di chiudere la chiamata: “La ‘cazzimma’ è la mia forza, se non ho quella sono morto”. Basta vederlo sul campo per credere alle sue parole. Come sempre, ha messo tutto alle spalle: avversari, difficoltà ed episodi spiacevoli del passato. Adesso, però, dovrà affrontare la seconda parte di stagione col Bari e un nuovo ciclo con l’Italia. Sarà quella la vera prova del 9.
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