Da Torino a Torino. Da Capodichino a Capodichino. 1827 giorni dopo, cinque anni che sembrano dieci, spariti poi in un attimo, con un gol. Il Napoli di Spalletti fa come quello di Sarri: Elmas diventa Callejon, Raspadori diventa Koulibaly. Ci ha pensato anche il profilo social ufficiale del club a descrivere la vittoria dello Juventus Stadium di ieri sera: “Stesso risultato, stesso minuto, finale diverso”. Sì, perché nel cuore dei napoletani quella vittoria fu comunque qualcosa di incredibile, il primo vero passo del club di De Laurentiis tra i grandi. La possibilità di dire “Ci sono anche io”. Una settimana più tardi, però, sotto i colpi della Fiorentina al Franchi il sogno di riportare lo scudetto a Napoli si infranse sulla tripletta di Giovanni Simeone. Che oggi, però, veste proprio i colori azzurri.
Anche nel 2018 lo scalo napoletano di Capodichino si riempì come è successo stanotte: quasi 10mila i napoletani festanti che hanno atteso la squadra al ritorno. Non c’è ancora l’aritmetica, certo, ma il successo è lì, a un passo, solo da prendere. La festa in strada è scoppiata al fischio finale e ha contagiato le arterie principali. Motorini e auto già armati di bandiere e sciarpe hanno fatto le prove generali per quello che si vedrà tra poco. Poi la festa si è spostata. L’aereo azzurro da Torino è atterrato alle 2.30, la squadra è riuscita a lasciare l’aeroporto solo un’ora e mezza più tardi con un fiume di clacson e fari che ha accompagnato i propri eroi fino al Centro tecnico di Castel volturno. Gli azzurri sono saliti sul tetto del bus per festeggiare con la città tra cori, canti, qualche lacrima e la voglia di vivere insieme questa settimana che porterà al successo.
Cinque anni più tardi, che sembrano cento. Sì, perché di quel Napoli non è rimasto più nulla. I colori, forse, qualche membro dello staff. Solo due calciatori c’erano nella presa di Torino del 2018 e in quella del 2023. Mario Rui – però infortunato e a casa stavolta – e Piotr Zielinski, subentrato ieri nella ripresa. Il polacco ha dato il via all’azione che porta al gol di Raspadori – uno che la scorsa estate era stato inseguito proprio da Napoli e Juve sul mercato -, e quando la palla si insacca dietro Szczesny si lascia andare a terra, di schiena. Apre le braccia. Non è stanchezza, è appena entrato in campo. Ma è un cerchio che si chiude: davanti agli occhi di Piotr passano 1827 giorni vissuti in una città che era pronta a festeggiare e ha dovuto attendere cinque anni per farlo. Con una pelle tutta nuova: da Reina a Meret, da Mertens a Osimhen, da Insigne a Kvaratskhelia. Nuovi volti, giovani e coraggiosi. Come coraggiosa è stata l’opera di chi la rivoluzione l’ha portata. Aurelio De Laurentiis da un lato, Cristiano Giuntoli dall’altra. Tra i due “litiganti” gode Luciano Spalletti, il regista di una squadra che ora aspetta domenica per lo scudetto.
Il 10 maggio 1987 il Napoli di Maradona vinceva il suo primo scudetto. Tutto in giro per la città spuntarono striscioni: “La storia ha voluto una data” recitavano. Nessuno ha mai più dimenticato tra le strade quel 10 maggio, come fosse una festa rituale di una città finalmente padrona del proprio destino. È ancora tatuato sulle pareti che non vogliono saperne di cedere alla forza del tempo. 36 anni più tardi, la storia ha voluto ancora una data: il 29 aprile il Napoli di Spalletti affronterà la Salernitana in quello che può essere il primo match point scudetto. Il secondo e ultimo tricolore era arrivato proprio il 29 aprile del 1990. E il 29 aprile del 2018 gli azzurri di Sarri lasciarono in albergo quelle che erano le residue speranze di vittoria. Cinque anni più tardi il cerchio può chiudersi ancora una volta. La storia ha voluto una data, di nuovo. Ma anche se l’aritmetica dovesse arrivare a Udine o con la Fiorentina, Napoli farebbe festa lo stesso. Con una data diversa e la stessa voglia.
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