Cavani ci aveva messo un attimo. A Higuain erano servite due partite. Per Victor Osimhen, invece, il numero perfetto è tre. Il nigeriano trova il gol alla terza partita vestito d’azzurro, lo fa con un destro bello e preciso, dalla distanza, mostrando una delle sue qualità. In tanti lo aspettavano a Napoli, lui invece aspettava solo il gol: ci è andato vicinissimo quando Lozano ha aperto le marcature a pochi passi dalla porta, poi ha pensato a creare spazi per i compagni con Sportiello che sembrava volersi superare solo sulle sue conclusioni.
Toloi e Palomino gli pestano i piedi, lui prova a scappare via in velocità sfruttando l’intesa con Mertens, poi capisce che deve mettersi in proprio e premia il lancio lungo di Ospina prima di insaccarla. Il gol è una liberazione, Osimhen corre verso la curva vuota e mostra una maglia bianca con la scritta chiara: “Fermate la violenza della polizia in Nigeria”. Sì, perché oltre a essere un attaccante in rampa di lancio, Victor è uno che non scorda mai da dove è partito. Per tutta la settimana ha pubblicato sui social in sostegno del suo popolo – bloccato dalla bolla di Castel Volturno – e a loro ha dedicato la prima gioia azzurra. Poi ha riposto la maglia e ha abbracciato Gattuso in panchina, l’uomo che a luglio lo aveva scelto e gli ha aperto le porte di Napoli: “È come un padre per me” aveva detto Osimhen nel giorno della sua preparazione e il rapporto super si è subito avvertito. Poco prima della fine, lo stesso Rino gli concede la standing ovattino dei mille fedelissimi presenti in tribuna al San Paolo: Osimhen ringrazia, saluta tutti i componenti della panchina e lancia occhiate d’intesa ai suoi nuovi tifosi. Promettendogli ancora qualche gol, magari, stavolta, da dedicare solo a loro.
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