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La Lazio, i tatuaggi e la vita da papà. Murgia: “Essere apprezzati per ciò che si è”

E poi… il coup de théâtre. A vent’anni. Quando volgi lo sguardo allo specchio e ti rendi conto di cosa hai fatto. “Il gol in finale di Supercoppa resta un ricordo indelebile. Simone Inzaghi sapeva caricarti con le parole giuste. Ma oggi penso solo al presente”. Razionale. Pacato ma altrettanto simpatico e disponibile.

La genuinità di Alessandro Murgia la si percepisce. “Ci sentiamo quando vuoi!”. E dunque… Eccoci con l’eroe di quel Lazio-Juventus. Il centrocampista, oggi all’Hermannstadt – in Romania – si è raccontato ai microfoni di Gianlucadimarzio.com. “Oggi cerco di essere un buon papà. Ho tre splendidi bambini avuti con compagne diverse, non lo nascondo. Ma sono stati periodi della mia vita che non rimpiango. Tatuaggi? Il primo a 14 anni. Non ti faccio parlare con i miei genitori… Ne direbbero di tutte i colori (ride, ndr)”.

“Romania? Ero scettico. Mi sono ricreduto”

Sibiu è una città della Transilvania, posizionata nel cuore della Romania e casa di Murgia. La SPAL, infatti, ha rinnovato il prestito all’ Hermannstadt. “Il paese è piccolo, si vive bene. Ero un po’ scettico ma mi sono ricreduto. Tornare in Serie A? Può essere un obiettivo. Ma prenderei in considerazione anche un’altra opzione all’estero. Qui sto bene, sto imparando il rumeno. Penso solo al presente, valuto le dinamiche di volta in volta”. La forza di restare concentrati. Di non farsi trascinare dagli eventi. A vent’anni segni un gol decisivo e consegni la Supercoppa alla ‘tua’ Lazio. Otto anni dopo sei lontano 1.700 chilometri (1.766,7 per la precisione) da quella che è casa tua. “La mia carriera è partita forte. Probabilmente non ero ancora maturo. Ho viaggiato tanto, ho giocato in diverse categorie. Nel calcio la pressione è molto alta. Dopo un po’ di tempo ho capito che è importante lavorare sulla testa.

“Io tatuatore? Devi avere il talento giusto”

La lealtà e la purezza di Murgia sono doti impressionanti. “Ho sempre detto la verità. E continuerò a farlo”. E di questo ne gioveranno Dea, Ginevra e Niccolò, i suoi tre figli. “Sono sicuro che loro, così come la mia famiglia e i miei amici, mi apprezzeranno per quello che sono. E non per ciò che faccio”. E non lo dicono di certo i tatuaggi. “Non ce n’è uno a cui sono legato particolarmente. Certo… Ho tatuati i nomi dei miei tre bambini. Ma non ho disegnato scritte o simboli per delle partite in particolare. Sono sempre stato un appassionato, da quando avevo 12 o 13 anni. Se avessi più tempo me ne farei ancor ‘de’ più (ride, ndr). Io tatuatore? Mi è capitato di taturare un mio amico che era nel settore. Ma non ho mai pensato di farlo diventare un lavoro. Devi studiare arte, disegno e avere un talento incondizionato”.

Murgia: “Sento ancora Immobile e Luis Alberto. La Lazio è dei tifosi”

Incondizionato come l’amore e il sentimento verso i colori bianconcelesti. Nei confronti di quella squadra che ti ha visto crescere e diventare grande. “Ho sempre tifato la Lazio come popolo, come piazza. E non per i giocatori. I tifosi sono calorosi e questo è bellissimo, al tempo mi ha responsabilizzato”. Negli ultimi mesi, la società ha salutato Sergej Milinkovic-Savic, Luis Alberto e Ciro Immobile. Tre pilastri della storia recente biancoceleste. “Luis l’ho sentito qualche settimana fa. Stesso discorso vale per Ciro, con cui ho parlato quando ho saputo del trasferimento in Turchia. Ogni tanto non me la sento di mandare qualche messaggio”. Cioè? “Ho paura di dare fastidio. Ma ho comunque un bel rapporto con tutti quanti”.

Oggi all’Hermannstadt. Con cui – tra le altre cose – ha trovato il gol tre volte in sette uscite ufficiali.

Una storia sincera. Ricca di sorrisi, risate e tanta buona volontà. Murgia guarda al presente. Per sé stesso e per chi è sempre stato accanto a lui.
Davide Balestra

Nato nel 2000 a San Benedetto del Tronto. Di sangue metà pugliese e metà marchigiano ma con inflessione dialettale praticamente neutra. Figlio della Generazione Z, la stessa che ha partorito calciatori del calibro di Haaland, Vinícius Júnior o Tonali. Al tentativo di replicare le loro giocate sul campo di calcetto ho preferito il portatile o il microfono, quest’ultimo, da un po’ fedele compagno di viaggio. Poca retorica: le emozioni che trasmette un campo di calcio non sono quantificabili. E a me piace raccontarle, che sia attraverso una tastiera o una telecamera puntata in volto. Ansie, timori e paure fanno parte del percorso. Cerco di superarle con umiltà, virtù che, con il tempo, sto rendendo un mio mantra.

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Davide Balestra
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