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Multietnia, educazione: quando il calcio unisce e insegna. Ecco la realtà della Pro… Levante

Una valigia stracolma di emozioni, dentro la passione di una vita: il calcio. Un biglietto da Coban, San Juan, Gochang, Ciudad De Mexico. Chi da Guatemala, Porto Rico o Corea del Sud. Destinazione? Spagna, all’inseguimento di un sogno.

“A chi ti ispiri, Josè?”. “Buffon. Lui è una leggenda” risponde fermo il ragazzetto. Che italiano non è, ecco perché la replica sorprende. Il giovane portiere messicano porta Ortiz sulla maglia ma a quanto pare il campionato italiano lo segue eccome: “Non dimentichiamoci di Donnarumma, eh!”. 

Spagna, Valencia, O meglio: Levante. ProLevante!  Che è un’accademia giovanile internazionale nata dalla collaborazione tra la società di consulenza sportiva NGS – Next Generation Sport – e il Levante UD, con l’obiettivo di scoprire nuovi talenti e coltivarli a tal punto da permetterli di inserirsi nella prima squadra o di farsi notare da qualsivoglia club internazionale.

Questa collaborazione, che si candida da tempo ad essere uno dei progetti sportivi più interessanti legati alla cantera, rimarca una tradizione – quella iberica – di tenersi sempre stretto qualcosa che da un momento all’altro potrebbe esplodere. Dieci mesi di stage, diete alimentari ma non solo: qui prima di tutto educatori, poi allenatori. Riguardo alle lezioni private mattutine all’ Universidad Politecnica l’entusiasmo dei ragazzi non è alle stelle, ma tutto sommato imparare l’inglese oltre che necessario è piacevole, quindi perché no.

“Wake up Johnny, we have training Johnny!” si sente dagli ultimi posti del pullman che ci sta portando verso la ciudad deportiva del Levante. Ed è proprio a Buñol – dove è situato il centro – che i ragazzi della ProLevante hanno la possibilità di allenarsi a una ventina di metri dalla seduta di allenamento della prima squadra. Due sedute al giorno, mattina e pomeriggio, dal lunedì al venerdì. Prima di iniziare ci scappa una foto di gruppo ma poi tra primi stop e diagonali all’improvviso parte un “oooh” accompagnato da applausi: Nabil Ghilas ha fatto un golazo tra i grandi.

Le residenze si trovano relativamente vicino al centro sportivo. Lì via ai momenti di svago, contatti con i familiari e niente di più: una dimensione totalmente legata alla concezione di calcio come attività genuina, condivisione e collaborazione in pole. Forse la disciplina potrà rendere il tutto un po’ più noioso se hai a malapena diciott’anni, ma fino a prova contraria è questo che contraddistingue un vero professionista del futuro da un prematuro fenomeno da gossip scomodi. I dettagli sono importanti, nella vita come sul campo verde. Perché si sa, organizzazione mentale e tecnica personale a volte non vanno a braccetto e quando il talento si mostra grande quanto la presunzione la nave rischia di affondare. Lo sanno i piani alti e ovviamente anche la squadra, che vive tra fasce orarie, lavoro sul campo e aforismi adolescenziali: “L’importante per tutti noi è sentirsi a casa, sempre e comunque. Anche se sei a migliaia e migliaia di chilometri di distanza, il calcio rimane una seconda famiglia” dice Ricardo Rivera De Leòn, volante destro con Kakà ancora in testa.

“Se volessi convincere un tuo compagno di San Juan a seguirti qui, che gli diresti?”. “Tres palabras: una familia nueva”. Questo è fútbol. 

A cura di Matteo Mario, da Valencia. 

Redazione

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