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Frame, gif, meme: il film del Mondiale

Tre miliardi e mezzo. Più della metà della popolazione terrestre ha guardato in tv i Mondiali di Russia nel 2018. Chissà quanti sono invece gli spettatori di Qatar 2022. Lo sapremo quando la FIFA diffonderà il dato ufficiale. Certo è che per soddisfare le esigenze di così tanti, tra fan e osservatori neutrali, servono mezzi enormi. Frotte di cameraman, operatori, fotografi. Tutti riuniti a Doha in cerca di un frame, di uno scatto rubato, di un’immagine che diventi icona.

Le immagini dei Mondiali

L’immagine in movimento dice la verità”. Parola di André Bazin, uno dei massimi teorici della storia del cinema. Durante Qatar 2022 non sempre è stato così. In Vietnam, quarantamila persone hanno guardato una partita di FIFA su YouTube convinti che fosse Germania-Giappone. Non solo menzogna, però, ma anche dubbio, dilemma. La palla di Tanaka, nell’azione del 2-1 del Giappone alla Spagna, era o no oltre la linea? Francia-Tunisia era finita, quando l’arbitro ha annullato il gol di Griezmann? Domande che sfuocano i contorni della cronaca, aprendo la strada all’interpretazione.

Il caso di Neuer

Ai Mondiali ci sono state poi immagini sottratte, nascoste. Lo spettro del visibile è stato manipolato, ridotto. Neuer indossava la fascia One Love? No, ma per qualche minuto non lo abbiamo saputo con certezza, perché le immagini della regia internazionale erano tutte troppo distanti, volutamente poco chiare. Ogni grande evento sportivo si trascina dietro un potenziale ideologico straordinario ma altrettanto pericoloso: quando il Terzo Reich affidò a Leni Riefenstahl il film delle Olimpiadi di Berlino, ne ebbe in cambio il racconto del trionfo di Jesse Owens. 

Immagini in movimento e frame

Il cinema nasce dall’aggiunta del tempo a delle immagini. Invertire il meccanismo, isolando un frame, bloccando il flusso continuo, porta a falsificazioni e fraintendimenti. Lo ha ricordato Otamendi, spiegando alla luce delle provocazioni di Dumfries la foto degli argentini esultanti in faccia agli olandesi. Come a dire: ogni foto ha bisogno di un testo, ogni istante di un contesto, e niente è come sembra. Serve insomma una chiosa, una didascalia che faccia parlare l’immagine. È così che abbiamo appreso che l’inchino di Moriyasu appartiene alla categoria dei Saikeirei: la schiena abbassata, le braccia sulle cosce, le gambe dritte, per manifestare rispetto supremo e gratitudine. 

Gif, meme e metafotografie

Ogni immagine di questi Mondiali è stata reinterpretata, rivisitata, trasformata dai social. Gif, meme, montaggi. Ronaldo Nazario con la maschera di Son, Modric che dà da mangiare ai “pombos”, i piccioni brasiliani. C’è il discorso di Renard, ci sono le lacrime (CR7, Suarez, l’inconsolabile Moisés Caicedo), i tedeschi col bavaglio alla bocca, il gatto di Vinicius: istantanee già virali. Non solo, perché questi Mondiali ci hanno regalato un esempio di “metafotografia”, una foto dentro a un’altra foto: Ronaldo “panchinato” da Santos contro la Svizzera, l’immagine aerea che ritrae le file di cameraman davanti, il loro voyeurismo che rappresenta quello di chiunque.

La ribellione di Cavani

Possibile ribellarsi alla tirannia dell’immagine? A Qatar 2022 c’è chi ci ha provato. Dopo aver appreso da uno smartphone il risultato della partita fra Corea e Portogallo, che eliminava il suo Uruguay, Edinson Cavani ha colpito e gettato a terra il monitor del VAR. Sarà punito con una lunga squalifica. Negli ultimi giorni dei Mondiali ci sono state immagini commoventi, come il ballo di Boufal con la madre, e immagini sporcate, imbrattate da elementi estranei, come l’alzata della coppa di Messi con la bisht addosso. 

Le immagini del trionfo argentino

Anche la vittoria argentina è stata preparata, presagita e poi consacrata dalle immagini. Sminuzzate, interpretate con la cura che si deve al sacro. Come quella di Maradona trionfante in braccio i compagni a Città del Messico: il pollice puntato verso la bandiera del Qatar come segno premonitore di un destino favorevole. Anche Messi ci ha creduto, forse: chi ne ha ricostruito il labiale poco prima del rigore di Montiel ha letto le parole “Diego en el cielo, dàsela“. Non sapremo mai se Leo lo abbia detto davvero, di certo la Iglesia Maradoniana ha guadagnato qualche fedele. 

 

 

Andrea Monforte

Classe 2000, monzese (d’adozione), studio Lettere a Milano. Un’indomita ed ereditaria passione per lo sport (calcio, ovviamente, ma anche ciclismo), declinata in “narrazione” tecnica e sentimentale: la critica della complessità come antidoto alla semplificazione. La vaghezza del ricordo personale ha reso l’azzurro del cielo di Berlino 2006 un’indelebile traccia mitologica. Sono nato lo stesso giorno di Ryan Giggs e di Manuel Lazzari, ma resto umile.

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