Categories: Interviste e Storie

Le donne iraniane e il calcio, una passione frustrata

Nelle ultime ore si è discusso della possibile esclusione della nazionale iraniana da quei Mondiali in Qatar a cui si è qualificato, da rappresentante dell’Afc, la confederazione del calcio asiatico, già in gennaio. 

 

 

L’episodio al centro del dibattito è l’esclusione di duemila donne iraniane, regolari detentrici di biglietto, dallo stadio di Maschad, dove si è tenuta la partita fra Iran e Libano valida per il girone A delle qualificazioni. Ma l’episodio affonda le sue radici in una storia complessa e tormentata

Un divieto di specie religiosa

Dalla sua nascita, la Repubblica Islamica dell’Iran ha vietato l’ingresso delle donne negli stadi. Secondo l’interpretazione dell’ayatollah Khomeini, e dei suoi successori, lo sciismo, confessione dell’Islam nettamente prevalente nel Paese, prescriverebbe tale divieto. La stessa vista di uomini impegnati in attività sportive sarebbe una violazione del comportamento richiesto alle donne, dei costumi imposti dalla tradizione. 

  

 

L’episodio del 1998

Eppure la passione popolare per il “football”, in Iran, è diffusissima, anche fra le donne. Comprensibile, in una paese tendenzialmente giovane, in cui quasi la metà della popolazione si colloca nella fascia d’età tra i 25 e i 54 anni. La prima qualificazione dell’Iran ai mondiali arrivò in una stagione particolarmente complessa, nel 1974. Ma le occasioni per festeggiare non sarebbero mancate. Le feste di piazza più partecipate si ebbero nel 1998, dopo l’accesso al Mondiale di Francia garantito dalla vittoria in Australia.

Alla nazionale iraniana fu imposto di attendere tre giorni prima del rientro in patria, per sbollire gli entusiasmi in patria. Il motivo? Da Shiraz a Teheran, i centri urbani si erano riempiti di giovani donne che, non proprio in accordo con la tradizione, si scatenavano, scoprendo il viso e altre parti del corpo, sulla musica degli AC/DC

 

 

  

Tra il 2019 e oggi

A 21 anni di distanza da quel primo, epocale episodio, il dramma. Quello di Sahar, una ragazza ventinovenne che decise di darsi fuoco dopo la condanna a 6 anni di reclusione per essere entrata allo stadio di nascosto, vestita da uomo. La comunità internazionale si rivoltò, lo shock prodotto nell’opinione pubblica indusse qualcuno a richiedere l’esclusione della nazionale da ogni competizione. E soprattutto la Fifa a imporre l’apertura parziale degli stadi iraniani alle donne. Una richiesta a cui la federazione locale acconsentì distribuendo numerosi biglietti. In questi giorni il capitano della nazionale, Alireza Jahanbakhsh, si è schierato decisamente a favore dell’ingresso delle donne negli stadi, parlando di una misura che “apporterebbe progressi alla nostra società civile“. Una ventata di speranza. Fino a oggi. Fino al ritorno all’esclusione e alla disparità. 

 

Andrea Monforte

Classe 2000, monzese (d’adozione), studio Lettere a Milano. Un’indomita ed ereditaria passione per lo sport (calcio, ovviamente, ma anche ciclismo), declinata in “narrazione” tecnica e sentimentale: la critica della complessità come antidoto alla semplificazione. La vaghezza del ricordo personale ha reso l’azzurro del cielo di Berlino 2006 un’indelebile traccia mitologica. Sono nato lo stesso giorno di Ryan Giggs e di Manuel Lazzari, ma resto umile.

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