Giudizio unanime: “Era timido e gentile”. Da Genk lo ricordano tutti così, poche eccezioni. Una sola cosa lo faceva arrabbiare: “Il soprannome. In molti lo chiamavano Sergio, altri invece Sergiey, sai cosa intendo… e a lui dava molto fastidio”. Giochi d’assonanze, classici scherzi da spogliatoio, che lo ha subito accolto alla grande: “Gli volevano tutti bene”. Prima di diventare sergente e tuttocampista Milinkovic-Savic è stato Sergio e un giocatore da far maturare, in Belgio.
A 18 anni aveva però già chiaro tutto: “Ha sempre saputo ciò che voleva, nonostante la sua età era molto maturo”. Ha dovuto faticare per imporsi: “All’inizio al Genk non giocava molto, quindi a volte lo portavano con noi nell’under 21”. Alessio Carlone, suo ex compagno, lo ricorda bene, anche se insieme non hanno giocato molto: “Era una persona molto introversa – racconta a Gianlucadimarzio.com – parlava poco, ma era un bravo ragazzo e anche gentile”.
In campo dava sempre tutto: “Era molto professionale mentre alcuni giocatori quando c’era da giocare con noi dell’Under 21 non si impegnavano troppo”. Tanti pregi “corsa, fisico, tiro”, qualche dettaglio da limare: “All’epoca non ricordo fosse così forte tecnicamente, ma si vedeva che avrebbe sfondato”.
Chi lo ha conosciuto meglio ha scoperto anche un lato giocoso: “Era molto divertente, gli piaceva scherzare, ma quando si trattava di allenarsi, lavorava”. Laszlo Koteles ora è un agente di calciatori e gestisce l’INVICTI Group in Belgio, quando giocava al Genk era uno dei migliori amici di Milinkovic-Savic: “Mia moglie è serba, quindi parlo serbo – racconta a Gianlucadimarzio.com – Al suo arrivo in Belgio ho cercato di aiutarlo in qualsiasi cosa. Posso dire che siamo stati amici sin dal primo momento”.
Insieme facevano quasi tutto: “Ristoranti, viaggi intorno al Belgio, Playstation”. Tre giochi su tutti: “Fifa, NBA e Call of Duty”. Anche un passatempo particolare: “Quando è arrivato stavo ristrutturando casa ed è venuto spesso ad aiutarmi, era molto pratico. Ci siamo divertiti molto”. Gli hobby erano quelli di ogni ragazzo della sua età: “Gli piaceva giocare a basket all’aperto, fare shopping e andare a prendere un caffè o mangiare qualcosa con i suoi compagni di squadra”. Una cosa però proprio non gli andava giù: “Una volta l’ho portato a pescare ma non gli è piaciuto per niente”.
È passato qualche anno ormai, ora Sergej è uno dei pilastri della Lazio che sogna in grande, ma è rimasto sempre uguale: “Tutto il successo e la fama non l’hanno cambiato. Per me lui è l’esempio di giocatore professionista”. Il soprannome Sergio è rimasto anche a Roma, l’altro, quello che non gli piaceva, negli spogliatoi del Genk, insieme alla timidezza.
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